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15 Poesie sulla Solitudine

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Ultimo aggiornamento: 23 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie Sulla Solitudine

La solitudine è una sensazione che viviamo quando, per scelta o per necessità, siamo isolati dagli altri, ma anche quando in realtà siamo circondati da molte persone.

Sentirsi soli infatti è particolarmente collegato al fatto di non sentirsi capiti, o comunque diversi e poco considerati.

Qui di seguito le più belle poesie sulla solitudine scritte da grandi poeti che ne descrivono al meglio le sensazioni. Eccole!

Poesie sulla solitudine

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  • Trainor il Farmacista
    (Edgar Lee Masters)
    Solo il chimico può dire, e non sempre,
    cosa verrà fuori dall’unione
    di fluidi o solidi.
    E chi può dire
    come uomini e donne reagiranno
    fra loro, o quali figli ne risulteranno?
    C’erano Benjamin Pantier e sua moglie,
    buoni in sé stessi, ma cattivi l’uno con l’altro:
    lui ossigeno, lei idrogeno,
    loro figlio, un fuoco devastatore.
    Io, Trainor, il farmacista, un mescolatore di sostanze chimiche,
    morto mentre facevo un esperimento,
    vissi senza sposarmi.
  • Solitudine
    (Ella Wheeler Wilcox)
    Ridi e il mondo riderà con te.
    Piangi, e piangerai da solo.
    Poiché il vecchio mondo triste deve prendere
    in prestito la sua allegria,
    ma ha già abbastanza guai per conto suo.
    Canta, e le colline ti risponderanno.
    Singhiozza, e il tuo singhiozzo si perderà nell’aria.
    L’eco è destinata a un suono gioioso,
    ma si rifiuta di dare ascolto ai lamenti.
    Rallegrati e gli uomini ti cercheranno.
    Rattristati, ed essi ti lasceranno solo.
    Vogliono la misura piena di tutto il tuo piacere,
    ma non hanno bisogno del tuo dolore.
    Sii felice, e avrai molti amici.
    Siì triste, e li perderai tutti.
    Non c’è nessuno che rifiuti il tuo vino di nettare,
    ma dovrai bere da solo il fiele della vita.
    Fa festa, e i tuoi saloni si riempiranno.
    Digiuna, e il mondo ti passerà acanto senza sfiorarti.
    Se avrai successo e sarai generoso, ciò ti aiuterà
    a vivere.
    ma nessuno potrà aiutarti a morire.
    C’è spazio nelle sale del piacere
    per un lungo treno di signori.
    Ma a uno a uno dobbiamo metterci in fila
    per passare gli stretti varchi del dolore.
  • Solo
    (Edgar Allan Poe)
    Da bambino non ero come gli altri,
    non vedevo come gli altri vedevano,
    né le mie passioni scaturivano
    da una fonte comune, e le mie pene
    non avevano la stessa sorgente.
    Il mio cuore, poi, non si destava
    alla gioia in armonia con gli altri.
    Io, tutto ciò che amai, l’amai da solo.
    Allora, nell’infanzia, nell’aurora
    d’una vita tempestosa, trassi
    il mistero che ancora m’imprigiona
    da ogni abisso del bene e del male,
    e dal torrente o dalla sorgente,
    dalla roccia rossa della montagna,
    dal sole che tutto m’avvolgeva
    nel suo autunno colorato d’oro,
    dal fulmine del cielo che improvviso
    mi sfiorava, scoppiava accanto a me,
    dal tuono, dalla furia della pioggia,
    e dalla nube che prendeva forma
    di un dèmone ai miei occhi,
    mentre il resto del cielo era sereno.
  • La solitudine
    (Trilussa)
    Quand’ero ragazzino, mamma mia
    me diceva: “Ricordati fijolo,
    quando te senti veramente solo
    tu prova a recità ‘n’ Ave Maria
    l’anima tua da sola spicca er volo
    e se solleva, come pe’ maggia”.
    Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato;
    da un pezzo s’è ad dormita la vecchietta,
    ma quer consijo nun l’ho mai scordato.
    Come me sento veramente solo
    io prego la Madonna benedetta
    e l’anima da sola pija er volo!
  • Lo steddazzu
    (Cesare Pavese)
    L’uomo solo si leva che il mare e ancor buio
    e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
    sale su dalla riva, dov’è il letto del mare,
    e addolcisce il respiro. Quest’è l’ora in cui nulla
    può accadere. Perfino la pipa tra i denti
    pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquio.
    L’uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
    e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
    tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.
    Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
    in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
    che l’inutilità. Pende stanca nel cielo
    una stella verdognola, sorpresa dall’alba.
    Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
    a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda;
    vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
    dov’è un letto di neve. La lentezza dell’ora
    e spietata, per chi non aspetta più nulla.
    Val la pena che il sole si levi dal mare
    e la lunga giornata cominci? Domani
    tornerà l’alba tiepida con la diafana luce
    e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
    L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
    Quando l’ultima stella si spegne nel cielo,
    l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende.
  • Al fuoco
    (Giovanni Pascoli)
    Dorme il vecchio avanti i ciocchi.
    Sogna un nuvolo di bimbi,
    che cinguetta. Il ceppo al foco
    russa roco.
    Dorme anch’esso. A tutti i nocchi
    sogna grappoli e corimbi.
    Rosei pendono nell’aria
    solitaria.
    Bianchi i bimbi tra il fogliame,
    su su, a quel roseo sorriso
    vanno. Il ceppo occhi di brace
    apre, e tace.
    Ecco pendulo lo sciame
    dal grande albero improvviso,
    su su. Il vecchio nel cor teme,
    guarda e geme.
    Ogni bimbo al suo fiore alza
    la mano e… scivola e va.
    Sbarra il ceppo la pupilla:
    crocchia e brilla.
    E il vegliardo, al crocchiar, balza
    nella rotta oscurità.
    Gira lento gli occhi. Solo!
    solo! solo!
  • Il passero solitario
    (Giacomo Leopardi)
    D’in su la vetta della torre antica,
    Passero solitario, alla campagna
    Cantando vai finché non more il giorno;
    Ed erra l’armonia per questa valle.
    Primavera dintorno
    Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
    Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
    Odi greggi belar, muggire armenti;
    Gli altri augelli contenti, a gara insieme
    Per lo libero ciel fan mille giri,
    Pur festeggiando il lor tempo migliore:
    Tu pensoso in disparte il tutto miri;
    Non compagni, non voli,
    Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
    Canti, e così trapassi
    Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
    Oimè, quanto somiglia
    Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
    Della novella età dolce famiglia,
    E te german di giovinezza, amore,
    Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
    Non curo, io non so come; anzi da loro
    Quasi fuggo lontano;
    Quasi romito, e strano
    Al mio loco natio,
    Passo del viver mio la primavera.
    Questo giorno ch’omai cede la sera,
    Festeggiar si costuma al nostro borgo.
    Odi per lo sereno un suon di squilla,
    Odi spesso un tonar di ferree canne,
    Che rimbomba lontan di villa in villa.
    Tutta vestita a festa
    La gioventù del loco
    Lascia le case, e per le vie si spande;
    E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
    Io solitario in questa
    Rimota parte alla campagna uscendo,
    Ogni diletto e gioco
    Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
    Steso nell’aria aprica
    Mi fere il Sol che tra lontani monti,
    Dopo il giorno sereno,
    Cadendo si dilegua, e par che dica
    Che la beata gioventù vien meno.
    Tu solingo augellin, venuto a sera
    Del viver che daranno a te le stelle,
    Certo del tuo costume
    Non ti dorrai; che di natura è frutto
    Ogni nostra vaghezza
    A me, se di vecchiezza
    La detestata soglia
    Evitar non impetro,
    Quando muti questi occhi all’altrui core,
    E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
    Del dì presente più noioso e tetro,
    Che parrà di tal voglia?
    Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
    Ahi pentiromi, e spesso,
    Ma sconsolato, volgerommi indietro.
  • Il treno ha fischiato
    (Giacinto Ricci Signorini)
    Il treno ha fischiato: fremendo
    Sotto l’ampia sonora tettoia
    S’arresta; di un balzo discendo,
    E mi canta nel cuore la gioia.
    Veloce mi volgo all’uscita,
    Guardo: dietro i cancelli lucenti
    Mi aspetti con ansia infinita,
    E mi accenni dagli occhi ridenti.
    Così m’era dolce l’arrivo
    Nel passato: nessuno ora viene
    Che mi attenda all’uscita giulivo,
    Che mi baci e mi dica: Stai bene?
    Cammino tra il chiasso a rilento,
    Ma non odo il tuo riso giocondo:
    Ho voglia di pianger: mi sento
    Tanto solo e perduto nel mondo.
  • La buona voce
    (Gabriele D’Annunzio)
    Sei solo. D’altro più non ti sovviene.
    E d’altro più non ti sovvenga mai!
    Sul tuo cuore fluisca l’oblìo lene.
    Ti sien dolci questi umili sentieri.
    Ancóra qualche rosa è ne’ rosai.
    Sarà domani quel che non fu ieri.
    Domani prenderà novo coraggio
    e nova forza l’anima che teme.
    A la prima rugiada, al primo raggio
    non s’alza l’erba che il tuo piede preme?
  • Sola non posso essere
    (Emily Dickinson)
    Sola non posso essere
    poiché schiere mi visitano
    compagnia senza traccia
    che elude chiavi
    Non hanno vesti, né nomi
    non almanacchi, né armi
    ma case diffuse come gnomi
    Il loro venire è annunciato
    da messaggeri interiori
    Il loro andare non lo è
    poiché non vanno mai
  • La nera solitudine
    (Giovanni Camerana)
    La nera solitudine alla nera
    solitudine;- il sogno alto al profondo
    pensier;- la sera che è triste, alla sera
    che piange; – al mondo infranto, il bieco mondo.
  • Solitudine
    (Giovanni Pascoli)
    Da questo greppo solitario io miro
    passare un nero stormo, un aureo sciame;
    mentre sul capo al soffio di un sospiro
    ronzano i fili tremuli di rame.
    È sul mio capo un’eco di pensiero
    lunga, né so se gioia o se martoro;
    e passa l’ombra dello stormo nero,
    e passa l’ombra dello sciame d’oro.
    Sono città che parlano tra loro,
    città nell’aria cerula lontane;
    tumultuanti d’un vocìo sonoro,
    di rote ferree e querule campane.
    Là, genti vanno irrequïete e stanche,
    cui falla il tempo, cui l’amore avanza
    per lungi, e l’odio. Qui, quell’eco ed anche
    quel polverio di ditteri, che danza.
    Parlano dall’azzurra lontananza
    nei giorni afosi, nelle vitree sere;
    e sono mute grida di speranza
    e di dolore, e gemiti e preghiere…
    Qui quel ronzìo. Le cavallette sole
    stridono in mezzo alla gramigna gialla;
    i moscerini danzano nel sole;
    trema uno stelo sotto una farfalla.
  • Tramontata è la luna
    (Saffo)
    Tramontata è la luna
    e le Pleiadi a mezzo della notte
    anche giovinezza già dilegua,
    e ora nel mio letto resto sola.
    Scuote l’anima mia Eros,
    come vento sul monte
    che irrompe entro le querce;
    e scioglie le membra e le agita,
    dolce amara indomabile belva.
    Ma a me non ape, non miele;
    e soffro e desidero.
  • Ed è subito sera
    (Salvatore Quasimodo)
    Ognuno sta solo
    sul cuore della terra
    trafitto da un raggio di sole:
    ed è subito sera.
  • La Solitudine
    (Eugenio Montale)
    Se mi allontano due giorni
    i piccioni che beccano
    sul davanzale
    entrano in agitazione
    secondo i loro obblighi corporativi.
    Al mio ritorno l’ordine si rifà
    con supplemento di briciole
    e disappunto del merlo che fa la spola
    tra il venerato dirimpettaio e me.
    A così poco è ridotta la mia famiglia.
    E c’è chi ne ha una o due, che spreco, ahimè!
  • Il passero solitario
    (Giovanni Pascoli)
    Tu nella torre avita,
    passero solitario,
    tenti la tua tastiera,
    come nel santuario
    monaca prigioniera,
    l’organo, a fior di dita;
    che pallida, fugace,
    stupì tre note, chiuse
    nell’organo, tre sole,
    in un istante effuse,
    tre come tre parole
    ch’ella ha sepolte, in pace.
    Da un ermo santuario
    che sa di morto incenso
    nelle grandi arche vuote,
    di tra un silenzio immenso
    mandi le tue tre note,
    spirito solitario.
  • Solitudine
    (Alfred de Musset)
    Il cielo mi ha affidato il tuo cuore…
    quando sarai dolente vieni da me
    senza inquietudine,
    ti seguirò nel tuo cammino.
    Ma non posso toccare la tua mano,
    amico, sono la solitudine.
  • Isolamento
    (Giovanni Prati)
    Amo il fiore se, germina soletto,
    Più che se adorna di mill’altri il suolo;
    Amo il ruscello, che per picciol letto
    Passa ne’campi, e l’uccellin che il volo
    Muta per poche fronde, e fuor del petto,
    Versa cantando qualche antico duolo;
    Ed amo l’astro che nell’aer schietto
    Senz’altra compagnia brilla nel polo.
    Amo la nuvoletta, che si tinge
    d’una languida porpora, e non posa
    Per l’ignoto desio che la sospinge;
    Mi prende amor d’ogni isolata cosa,
    Perché l’anima mia vi si dipinge
    Isolata in eterno e dolorosa.
  • Mania di solitudine
    (Cesare Pavese)
    Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
    Nella stanza è già buio e si vede nel cielo.
    A uscir fuori, le vie tranquille conducono
    dopo un poco, in aperta campagna.
    Mangio e guardo nel cielo – chi sa quante donne
    stan mangiando a quest’ora – il mio corpo è tranquillo;
    il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
    Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
    sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
    ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
    Vedo il cielo, ma so che fra i tetti di ruggine
    qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
    Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
    delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
    Basta un po’ di silenzio e ogni cosa si ferma
    nel suo luogo reale, così com’è fermo il mio corpo.
    Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
    che l’accettano senza scomporsi: un brusío di silenzio.
    Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
    come so che il mio sangue trascorre le vene.
    La pianura è un gran scorrere d’acque tra l’erbe,
    una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
    vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
    di ogni cosa che vive su questa pianura.
    Non importa la notte. Il quadrato di cielo
    mi susurra di tutti i fragori, e una stella minuta
    si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
    dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
    e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
    il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.

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