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10 Poesie sulla Sera

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Ultimo aggiornamento: 23 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sulla Sera

La sera è quella parte del giorno compresa tra l’ora del tramonto e la notte. Il momento in cui ci si concede un po’ di relax dopo gli impegni e le attività del giorno.

La sera rappresenta il finale della giornata e, metaforicamente, la vecchiaia. Tutto questo, unito alla sua bellezza, ne fa un tema molto caro a tanti poeti.

Ecco quindi le più belle poesie sulla sera che ne sottolineano gli aspetti più dolci e romantici. Scoprile subito!

Poesie sulla sera

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  • La mia sera
    (Giovanni Pascoli)
    Il giorno fu pieno di lampi;
    ma ora verranno le stelle,
    le tacite stelle. Nei campi
    c’è un breve gre gre di ranelle.
    Le tremule foglie dei pioppi
    trascorre una gioia leggiera.
    Nel giorno, che lampi! che scoppi!
    Che pace, la sera!
    Si devono aprire le stelle
    nel cielo sì tenero e vivo.
    Là, presso le allegre ranelle,
    singhiozza monotono un rivo.
    Di tutto quel cupo tumulto,
    di tutta quell’aspra bufera,
    non resta che un dolce singulto
    nell’umida sera.
    È, quella infinita tempesta,
    finita in un rivo canoro.
    Dei fulmini fragili restano
    cirri di porpora e d’oro.
    O stanco dolore, riposa!
    La nube nel giorno più nera
    fu quella che vedo più rosa
    nell’ultima sera.
    Che voli di rondini intorno!
    che gridi nell’aria serena!
    La fame del povero giorno
    prolunga la garrula cena.
    La parte, sì piccola, i nidi
    nel giorno non l’ebbero intera.
    Né io… e che voli, che gridi,
    mia limpida sera!
    Don… Don… E mi dicono, Dormi!
    mi cantano, Dormi! sussurrano,
    Dormi! bisbigliano, Dormi!
    là, voci di tenebra azzurra…
    Mi sembrano canti di culla,
    che fanno ch’io torni com’era…
    sentivo mia madre… poi nulla…
    sul far della sera.
  • Ed è subito sera
    (Salvatore Quasimodo)
    Ognuno sta solo sul cuor della terra
    trafitto da un raggio di sole:
    ed è subito sera.
  • Alla sera
    (Ugo Foscolo)
    Forse perché della fatal quiete
    Tu sei l’immago a me sì cara vieni
    0 sera! E quando ti corteggian liete
    Le nubi estive e i zeffiri sereni,
    E quando dal nevoso aere inquiete
    Tenebre e lunghe all’universo meni
    Sempre scendi invocata, e le secrete
    Vie del mio cor soavemente tieni.
    Vagar mi fai cò miei pensier su l’orme
    Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
    Questo reo tempo, e van con lui le torme
    Delle cure onde meco egli si strugge;
    E mentre lo guardo la tua pace, dorme
    Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
  • L’ora nostra
    (Umberto Saba)
    Sai un’ora del giorno che più bella
    sia della sera? tanto
    più bella e meno amata? È quella
    che di poco i suoi sacri ozi precede;
    l’ora che intensa è l’opera, e si vede
    la gente mareggiare nelle strade;
    sulle mole quadrate delle case
    una luna sfumata, una che appena
    discerni nell’aria serena.
    È l’ora che lasciavi la campagna
    per goderti la tua cara città,
    dal golfo luminoso alla montagna
    varia d’aspetti in sua bella unità;
    l’ora che la mia vita in piena va
    come un fiume al suo mare;
    e il mio pensiero, il lesto camminare
    della folla, gli artieri in cima all’alta
    scala, il fanciullo che correndo salta
    sul carro fragoroso, tutto appare
    fermo nell’atto, tutto questo andare
    ha una parvenza d’immobilità.
    È l’ora grande, l’ora che accompagna
    meglio la nostra vendemmiante età.
  • La sera fiesolana
    (Gabriele D’Annunzio)
    Fresche le mie parole ne la sera
    ti sien come il fruscìo che fan le foglie
    del gelso ne la man di chi le coglie
    silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
    su l’alta scala che s’annera
    contro il fusto che s’inargenta
    con le sue rame spoglie
    mentre la Luna è prossima a le soglie
    cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
    ove il nostro sogno si giace
    e par che la campagna già si senta
    da lei sommersa nel notturno gelo
    e da lei beva la sperata pace
    senza vederla.
    Laudata sii pel tuo viso di perla,
    o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
    l’acqua del cielo!
    Dolci le mie parole ne la sera
    ti sien come la pioggia che bruiva
    tepida e fuggitiva,
    commiato lacrimoso de la primavera,
    su i gelsi e su gli olmi e su le viti
    e su i pini dai novelli rosei diti
    che giocano con l’aura che si perde,
    e su ‘l grano che non è biondo ancóra
    e non è verde,
    e su ‘l fieno che già patì la falce
    e trascolora,
    e su gli olivi, su i fratelli olivi
    che fan di santità pallidi i clivi
    e sorridenti.
    Laudata sii per le tue vesti aulenti,
    o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
    il fien che odora!
    Io ti dirò verso quali reami
    d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
    eterne a l’ombra de gli antichi rami
    parlano nel mistero sacro dei monti;
    e ti dirò per qual segreto
    le colline su i limpidi orizzonti
    s’incùrvino come labbra che un divieto
    chiuda, e perché la volontà di dire
    le faccia belle
    oltre ogni uman desire
    e nel silenzio lor sempre novelle
    consolatrici, sì che pare
    che ogni sera l’anima le possa amare
    d’amor più forte.
    Laudata sii per la tua pura morte,
    o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
    le prime stelle!
  • Sera
    (Giuseppe Ungaretti)
    Appiè dei passi della sera
    Va un’acqua chiara
    Colore dell’uliva,
    E giunge al breve fuoco smemorato.
    Nel fumo ora odo grilli e rane,
    Dove tenere tremano erbe.
  • Sera d’ottobre
    (Giovanni Pascoli)
    Venne la sera ed abbuiò le strade.
    Stridule, qua e là, di più colori,
    correan le foglie; non s’udia per gli ampi
    filari che il vocio degli aratori.
    E tutta la semente era nei campi.
    Or le vacche tornavano alle stalle:
    e la gente, ciarlando per la via,
    saliva coi marrelli sulle spalle.
    Sonò, di qua di là, l’Avemaria.
    Ora il fuoco accendeva ogni capanna
    e i bimbi sazi ricevea la cuna,
    col sussurrare della ninna nanna.
  • Sera di Liguria
    (Vincenzo Cardarelli)
    Lenta e rosata sale su dal mare
    la sera di Liguria, perdizione
    di cuori amanti e di cose lontane.
    Indugiano le coppie nei giardini,
    s’accendon le finestre ad una ad una
    come tanti teatri.
    Sepolto nella bruma il mare odora.
    Le chiese sulla riva paion navi
    che stanno per salpare.
  • La sera
    (Rainer Maria Rilke)
    Come una indefinibile fata d’ombre…
    Vien da lungi la Sera, camminando
    per l’abetaia tacita e nevosa.
    Poi, contro tutte le finestre preme
    le sue gelide guance e, zitta, origlia!
    Si fa silenzio, allora, in ogni casa.
    Siedono i vecchi, meditando. I bimbi
    non si attentano ancora ai loro giochi!
    Le madri stanno siccome regine.
    Cade di mano alle fantesche il fuso.
    La Sera ascolta, trepida pei vetri:
    tutti, all’interno, ascoltano la Sera.
  • La sera del dì di festa
    (Giacomo Leopardi)
    Dolce e chiara è la notte e senza vento,
    E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
    Posa la luna, e di lontan rivela
    Serena ogni montagna. O donna mia,
    Già tace ogni sentiero, e pei balconi
    Rara traluce la notturna lampa:
    Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
    Nelle tue chete stanze; e non ti morde
    Cura nessuna; e già non sai nè pensi
    Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
    Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
    Appare in vista, a salutar m’affaccio,
    E l’antica natura onnipossente,
    Che mi fece all’affanno. A te la speme
    Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
    Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
    Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
    Prendi riposo; e forse ti rimembra
    In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
    Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
    Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
    Quanto a viver mi resti, e qui per terra
    Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
    In così verde etate! Ahi, per la via
    Odo non lunge il solitario canto
    Dell’artigian, che riede a tarda notte,
    Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
    E fieramente mi si stringe il core,
    A pensar come tutto al mondo passa,
    E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
    Il dì festivo, ed al festivo il giorno
    Volgar succede, e se ne porta il tempo
    Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
    Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
    De’ nostri avi famosi, e il grande impero
    Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
    Che n’andò per la terra e l’oceano?
    Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
    Il mondo, e più di lor non si ragiona.
    Nella mia prima età, quando s’aspetta
    Bramosamente il dì festivo, or poscia
    Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
    Premea le piume; ed alla tarda notte
    Un canto che s’udia per li sentieri
    Lontanando morire a poco a poco,
    Già similmente mi stringeva il core.

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