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15 Poesie sulla Pace (e contro la Guerra)

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Ultimo aggiornamento: 21 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sulla Pace

Quella della pace è una necessità di cui l’umanità ha sempre più bisogno, ma che allo stesso tempo sembra sempre più difficile da raggiungere.

Lo sanno bene tanti poeti e scrittori di poesie e filastrocche che hanno provato con le loro parole e i loro versi, pensati per adulti e per bambini, a dare un contributo nel rendere migliore questo mondo.

Ecco quindi la nostra selezione delle più belle poesie sulla pace (e contro la Guerra) che ci aiuteranno a riflettere e a capire l’importanza del vivere in armonia con gli altri. Scoprile subito!

Poesie sulla pace (e contro la Guerra)

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  • Promemoria
    (Gianni Rodari)
    Ci sono cose da fare ogni giorno:
    lavarsi, studiare, giocare,
    preparare la tavola
    a mezzogiorno.
    Ci sono cose da fare di notte:
    chiudere gli occhi, dormire,
    avere sogni da sognare,
    orecchie per non sentire.
    Ci sono cose da non fare mai,
    né di giorno, né di notte,
    né per mare, né per terra:
    per esempio, la guerra.
  • La ninna nanna della guerra
    (Trilussa)
    Ninna nanna, nanna ninna,
    er pupetto vò la zinna:
    dormi, dormi, cocco bello,
    sennò chiamo Farfarello
    Farfarello e Gujermone
    che se mette a pecorone,
    Gujermone e Ceccopeppe
    che se regge co le zeppe,
    co le zeppe d’un impero
    mezzo giallo e mezzo nero.
    Ninna nanna, pija sonno
    ché se dormi nun vedrai
    tante infamie e tanti guai
    che succedeno ner monno
    fra le spade e li fucili
    de li popoli civili
    Ninna nanna, tu nun senti
    li sospiri e li lamenti
    de la gente che se scanna
    per un matto che commanna;
    che se scanna e che s’ammazza
    a vantaggio de la razza
    o a vantaggio d’una fede
    per un Dio che nun se vede,
    ma che serve da riparo
    ar Sovrano macellaro.
    Chè quer covo d’assassini
    che c’insanguina la terra
    sa benone che la guerra
    è un gran giro de quatrini
    che prepara le risorse
    pe li ladri de le Borse.
    Fa la ninna, cocco bello,
    finchè dura sto macello:
    fa la ninna, chè domani
    rivedremo li sovrani
    che se scambieno la stima
    boni amichi come prima.
    So cuggini e fra parenti
    nun se fanno comprimenti:
    torneranno più cordiali
    li rapporti personali.
    E riuniti fra de loro
    senza l’ombra d’un rimorso,
    ce faranno un ber discorso
    su la Pace e sul Lavoro
    pe quer popolo cojone
    risparmiato dar cannone!
  • Al soldato caduto
    (Renzo Pezzani)
    Nessuno, forse, sa più
    perché sei sepolto lassù
    nel camposanto sperduto
    sull’alpe, soldato caduto.
    Nessuno sa più chi tu sia,
    soldato di fanteria,
    coperto di erba e di terra,
    vestito del saio di guerra,
    l’elmetto sulle ventitré.
    Nessuno ricorda perché,
    posata la vanga, il badile,
    portando a tracolla il fucile,
    salivi sull’alpe; salivi,
    cantavi e di piombo morivi,
    ed altri moriron con te.
    Ed ora sei tutto di Dio.
    Il sole, la pioggia, l’oblio
    t’han tolto anche il nome d’in fronte.
    Non sei che una croce sul monte
    che dura nei turbini e tace,
    custode di gloria e di pace.
  • I bambini giocano alla guerra
    (Bertolt Brecht)
    I bambini giocano alla guerra.
    È raro che giochino alla pace
    perché gli adulti
    da sempre fanno la guerra,
    tu fai “pum” e ridi;
    il soldato spara
    e un altro uomo
    non ride più.
    È la guerra.
    C’è un altro gioco
    da inventare:
    far sorridere il mondo,
    non farlo piangere.
    Pace vuol dire
    che non a tutti piace
    lo stesso gioco,
    che i tuoi giocattoli
    piacciono anche
    agli altri bimbi
    che spesso non ne hanno,
    perché ne hai troppi tu;
    che i disegni degli altri bambini
    non sono dei pasticci;
    che la tua mamma
    non è solo tutta tua;
    che tutti i bambini
    sono tuoi amici.
    E pace è ancora
    non avere fame
    non avere freddo
    non avere paura.
  • Shemà
    (Primo Levi)
    Voi che vivete sicuri
    nelle vostre tiepide case,
    voi che trovate tornando a sera
    il cibo caldo e visi amici:
    considerate se questo è un uomo
    che lavora nel fango
    che non conosce pace
    che lotta per mezzo pane
    che muore per un sì o per un no.
    Considerate se questa è una donna,
    senza capelli e senza nome
    senza più forza di ricordare
    vuoti gli occhi e freddo il grembo
    come una rana d’inverno.
    Meditate che questo è stato:
    vi comando queste parole.
    Scolpitele nel vostro cuore
    stando in casa andando per via,
    coricandovi alzandovi;
    ripetetele ai vostri figli.
    O vi si sfaccia la casa,
    la malattia vi impedisca,
    i vostri nati torcano il viso da voi.
  • Verrà un giorno
    (Jorge Carrera Andrade)
    Verrà un giorno più puro degli altri:
    scoppierà la pace sulla terra
    come un sole di cristallo.
    Una luce nuova
    avvolgerà le cose.
    Gli uomini canteranno per le strade
    ormai liberi dalla morte menzognera.
    Il frumento crescerà sui resti
    delle armi distrutte
    e nessuno verserà
    il sangue del fratello.
    Il mondo apparterrà alle fonti
    e alle spighe che imporranno il loro impero
    di abbondanza e freschezza senza frontiere.
  • Dopo la Pioggia
    (Gianni Rodari)
    Dopo la pioggia viene il sereno
    brilla in cielo l’arcobaleno:
    è come un ponte imbandierato
    e il sole vi passa, festeggiato.
    È bello guardare a naso in su
    le sue bandiere rosse e blu.
    Però lo si vede – questo è il male –
    soltanto dopo il temporale.
    Non sarebbe più conveniente
    il temporale non farlo per niente ?
    Un arcobaleno senza tempesta
    questa sì che sarebbe festa.
    Sarebbe una festa per tutta la terra
    fare la pace prima della guerra.
  • La pace
    (Trilussa)
    Un Omo aprì er cortello
    e domannò a l’Olivo: — Te dispiace
    de damme un “ramoscello”
    simbolo de la Pace?
    — No… no… — disse l’Olivo — nun scherzamo.
    perché ho veduto, in più d’un’occasione,
    ch’er ramoscello è diventato un ramo
    e er simbolo… un bastone.
  • Alle fronde dei salici
    (Salvatore Quasimodo)
    E come potevamo noi cantare
    con il piede straniero sopra il cuore,
    fra i morti abbandonati nelle piazze
    sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
    d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
    della madre che andava incontro al figlio
    crocifisso sul palo del telegrafo?
    Alle fronde dei salici, per voto,
    anche le nostre cetre erano appese,
    oscillavano lievi al triste vento.
  • Preghiera per la pace
    (Madre Teresa di Calcutta)
    O Signore,
    c’è una guerra
    e io non possiedo parole.
    Tutto quello che posso fare
    è usare le parole
    di Francesco d’Assisi.
    E mentre prego
    questa antica preghiera
    io so che, ancora una volta,
    tu trasformerai la guerra in pace
    e l’odio in amore.
    Dacci la pace,
    o Signore,
    e fa’ che le armi siano inutili
    in questo mondo meraviglioso.
    Amen.
  • Luce, pace, amore
    (Laurence Housman)
    La pace guardò in basso
    e vide la guerra,
    “Là voglio andare” disse la pace.
    L’amore guardò in basso
    e vide l’odio,
    “Là voglio andare” disse l’amore.
    La luce guardò in basso
    e vide il buio,
    “Là voglio andare” disse la luce.
    Così apparve la luce
    e risplendette.
    Così apparve la pace
    e offrì riposo.
    Così apparve l’amore
    e portò vita.
  • Filastrocca corta e matta
    (Gianni Rodari)
    Filastrocca corta e matta,
    il porto vuole sposare la porta,
    la viola studia il violino,
    il mulo dice: – Mio figlio è il mulino -;
    la mela dice: – Mio nonno è il melone -;
    il matto vuole essere un mattone,
    e il più matto della terra
    sapete che vuole? Fare la guerra!
  • Dov’è la pace
    (Mahatma Gandhi)
    Quando sento cantare:
    “Gloria a Dio e Pace sulla terra”
    mi domando dove oggi
    sia resa gloria a Dio
    e dove sia pace sulla terra.
    Finché la pace
    sarà una fame insaziata
    a finché non avremo sradicato
    dalla nostra civiltà la violenza,
    il Cristo non sarà nato.
  • La fine e l’inizio
    (Wisława Szymborska)
    Dopo ogni guerra
    c’è chi deve ripulire.
    In fondo un po’ d’ordine
    da solo non si fa.
    C’è chi deve spingere le macerie
    ai bordi delle strade
    per far passare
    i carri pieni di cadaveri.
    C’è chi deve sprofondare
    nella melma e nella cenere,
    tra le molle dei divani letto,
    le schegge di vetro
    e gli stracci insanguinati.
    C’è chi deve trascinare una trave
    per puntellare il muro,
    c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
    e montare la porta sui cardini.
    Non è fotogenico
    e ci vogliono anni.
    Tutte le telecamere sono già partite
    per un’altra guerra.
    Bisogna ricostruire i ponti
    e anche le stazioni.
    Le maniche saranno a brandelli
    a forza di rimboccarle.
    C’è chi con la scopa in mano
    ricorda ancora com’era.
    C’è chi ascolta
    annuendo con la testa non mozzata.
    Ma presto
    gli gireranno intorno altri
    che ne saranno annoiati.
    C’è chi talvolta
    dissotterrerà da sotto un cespuglio
    argomenti corrosi dalla ruggine
    e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.
    Chi sapeva
    di che si trattava,
    deve far posto a quelli
    che ne sanno poco.
    E meno di poco.
    E infine assolutamente nulla.
    Sull’erba che ha ricoperto
    le cause e gli effetti,
    c’è chi deve starsene disteso
    con la spiga tra i denti,
    perso a fissare le nuvole.
  • Ho dipinto la pace
    (Talil Sorek)
    Avevo una scatola di colori
    brillanti, decisi, vivi.
    Avevo una scatola di colori,
    alcuni caldi, altri molto freddi.
    Non avevo il rosso
    per il sangue dei feriti.
    Non avevo il nero
    per il pianto degli orfani.
    Non avevo il bianco
    per le mani e il volto dei morti.
    Non avevo il giallo
    per la sabbia ardente,
    ma avevo l’arancio
    per la gioia della vita,
    e il verde per i germogli e i nidi,
    e il celeste dei chiari cieli splendenti,
    e il rosa per i sogni e il riposo.
    Mi sono seduta e ho dipinto la pace.
  • Ecco gli elmi dei vinti
    (Bertolt Brecht)
    Ecco gli elmi dei vinti, abbandonati
    in piedi, di traverso e capovolti.
    E il giorno amaro in cui voi siete stati
    vinti non è quando ve li hanno tolti,
    ma fu quel primo giorno in cui ve li
    siete infilati senza altri commenti,
    quando vi siete messi sull’attenti
    e avete cominciato a dire sì.
  • Il discorso sulla pace
    (Jacques Prévert)
    Sul finire di un discorso di grande importanza
    l’insigne statista esitando
    su una bella frase assolutamente vuota
    ci cade dentro
    e impacciato la bocca spalancata
    affannato
    mostra i denti
    e la carie dentaria dei suoi paciosi ragionamenti
    scopre il nervo della guerra
    il cruciale problema del denaro.
  • Il disertore
    (Boris Vian)
    In piena facoltà
    egregio presidente
    le scrivo la presente
    che spero leggerà.
    La cartolina qui
    mi dice terra terra
    di andare a far la guerra
    quest’altro lunedì
    Ma io non sono qui
    egregio presidente
    per ammazzar la gente
    più o meno come me
    Io non ce l’ho con lei
    sia detto per inciso
    ma sento che ho deciso
    e che diserterò.
    Ho avuto solo guai
    da quando sono nato
    i figli che ho allevato
    han pianto insieme a me.
    Mia mamma e mio papà
    ormai son sotto terra
    e a loro della guerra
    non gliene fregherà.
    Quand’ero in prigionia
    qualcuno mi ha rubato
    mia moglie e il mio passato
    la mia migliore età.
    Domani mi alzerò
    e chiuderò la porta
    sulla stagione morta
    e mi incamminerò.
    Vivrò di carità
    sulle strade di Spagna
    di Francia e di Bretagna
    e a tutti griderò.
    Di non partire più
    e di non obbedire
    per andare a morire
    per non importa chi.
    Per cui se servirà
    del sangue ad ogni costo
    andate a dare il vostro
    se vi divertirà.
    E dica pure ai suoi
    se vengono a cercarmi
    che possono spararmi
    io armi non ne ho.
  • Filastrocca un po’ burlona
    (Gianni Rodari)
    Filastrocca un po’ burlona
    per divertire qualunque persona:
    se la salita fosse in discesa,
    se la montagna stesse distesa,
    se tutte le scale andassero in giù,
    se i fiumi corressero all’insù,
    se tutti i giorni fosse festa,
    se fosse zucchero la tempesta,
    se sulle piante crescesse il pane,
    come le pesche e le banane,
    se mi facessero il monumento…
    io non sarei ancora contento.
    Voglio prima veder sprofondare
    tutte le armi in fondo al mare.
  • Il volto della pace
    (Paul Éluard)
    Conosco tutti i luoghi dove abita la colomba
    e il più naturale è la testa dell’uomo.
    L’amore della giustizia e della libertà
    ha prodotto un frutto meraviglioso.
    Un frutto che non marcisce
    perché ha il sapore della felicità.
    Che la terra produca, che la terra fiorisca
    che la carne e il sangue viventi
    non siano mai sacrificati.
    Che il volto umano conosca
    l’utilità della bellezza
    sotto l’ala della riflessione.
    Pane per tutti, per tutti delle rose.
    L’abbiamo giurato tutti.
    Marciamo a passi da giganti.
    E la strada non è poi tanto lunga.
    Fuggiremo il riposo, fuggiremo il sonno,
    coglieremo alla svelta l’alba e la primavera
    e prepareremo i giorni e le stagioni
    a seconda dei nostri sogni.
    La bianca illuminazione
    di credere tutto il bene possibile.
    L’uomo in preda alla pace s’incorona di speranza.
    L’uomo in preda alla pace ha sempre un sorriso
    dopo tutte le battaglie, per chi glielo chiede.
    Fertile fuoco dei grani delle mani e delle parole
    un fuoco di gioia s’accende e ogni cuore si riscalda.
    La vittoria si appoggia sulla fraternità.
    Crescere è senza limiti.
    Ciascuno sarà vincitore.
    La saggezza è appesa al soffitto
    e il suo sguardo cade dalla fronte come una
    lampada di cristallo
    la luce scende lentamente sulla terra
    dalla fronte del più vecchio passa al sorriso
    dei fanciulli liberati dal timore delle catene.
    Pensare che per tanto tempo l’uomo ha fatto
    paura all’uomo
    e fa paura agli uccelli che porta nella sua testa.
    Dopo aver levato il suo viso al sole
    l’uomo ha bisogno di vivere
    bisogno di far vivere e s’unisce d’amore
    s’unisce all’avvenire.
    La mia felicità è la nostra felicità
    il mio sole è il nostro sole
    noi ci dividiamo la vita
    lo spazio e il tempo sono di tutti.
    L’amore è al lavoro, egli è infaticabile.
    Eravamo nel millenovecento diciassette
    e conserviamo il senso
    della nostra liberazione.
    Noi abbiamo inventato gli altri
    come gli altri ci hanno inventato.
    Avevamo bisogno gli uni degli altri.
    Come un uccello che vola ha fiducia nelle sue ali
    noi sappiamo dove conduce la nostra mano tesa:
    verso nostro fratello.
    Colmeremo l’innocenza
    della forza che tanto a lungo
    ci è mancata
    non saremo mai più soli.
    Le nostre canzoni chiamano la pace
    e le nostre risposte sono atti per la pace.
    Non è il naufragio, è il nostro desiderio
    che è fatale, e la pace inevitabile.
    L’architettura della pace
    riposa sul mondo intero.
    Apri le tue ali, bel volto;
    imponi al mondo di essere saggio
    poiché diventiamo reali,
    diventiamo reali insieme per lo sforzo
    per la nostra volontà di disperdere le ombre
    nel corso folgorante di una nuova luce.
    La forza diventerà sempre più leggera
    respireremo meglio, canteremo a voce più alta.

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