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15 Poesie sul Mare da non perdere

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Ultimo aggiornamento: 23 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sul Mare

Il mare è uno di quegli elementi della natura che affascina particolarmente lo spirito dei romantici e dei poeti.

Con le sue profondità, i suoi misteri, le sue sfumature si presta infatti ad essere utilizzato come metafora sui più svariati argomenti, dalla vita ai sentimenti umani.

Ecco quindi raccolte le più belle poesie sul mare che ne mettono in luce tutto il fascino. Scoprile subito!

Poesie sul mare

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  • Mare
    (Giovanni Pascoli)
    M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
    vanno le stelle, tremolano l’onde.
    Vedo stelle passare, onde passare:
    un guizzo chiama, un palpito risponde.
    Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
    sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
    Ponte gettato sui laghi sereni,
    per chi dunque sei fatto e dove meni?
  • La ballata del vecchio marinaio
    (Samuel Taylor Coleridge)
    La vagante luna ascendeva in cielo
    e non si fermava mai:
    dolcemente saliva, saliva
    in compagnia di una o due stelle –
    I suoi raggi illusori davano aspetto di una distesa bianca
    brina d’aprile a quel mare putrido e ribollente;
    ma dove si rifletteva la grande ombra della nave,
    l’acqua incantata ardeva
    in un monotono e orribile color rosso.
    Al di là di quell’ombra,
    io vedevo i serpi di mare:
    si muovevano a gruppi di un lucente candore,
    e quando si alzavano a fior d’acqua, la magica luce
    si rifrangeva in candidi fiocchi spioventi.
    Nell’ombra della nave,
    guardavo ammirando la ricchezza dei loro colori:
    blu, verde-lucidi, nero-vellutati,
    si attorcigliavano e nuotavano; e ovunque movessero
    era uno scintillio di fuochi d’oro.
    O felici creature viventi! Nessuna lingua
    può esprimere la loro bellezza:
    e una sorgente d’amore scaturì dal mio cuore,
    e istintivamente li benedissi:
    certo il mio buon Santo ebbe allora pietà di me,
    e io inconsciamente li benedissi.
    Nel momento stesso potei pregare;
    e allora dal mio collo libero
    l’Albatro cadde, e affondò
    come piombo nel mare
  • Amore di lontananza
    (Antonia Pozzi)
    Ricordo che, quand’ero nella casa
    della mia mamma, in mezzo alla pianura,
    avevo una finestra che guardava
    sui prati; in fondo, l’argine boscoso
    nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
    c’era una striscia scura di colline.
    Io allora non avevo visto il mare
    che una sol volta, ma ne conservavo
    un’aspra nostalgia da innamorata.
    Verso sera fissavo l’orizzonte;
    socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavo
    i contorni e i colori tra le ciglia:
    e la striscia dei colli si spianava,
    tremula, azzurra: a me pareva il mare
    e mi piaceva più del mare vero.
  • Terra e mare
    (Aleksandr Puskin)
    Quando sull’azzurro dei mari,
    Zèfiro soffia la sua brezza
    Sulle vele dei fieri vascelli
    E le barche sull’onde accarezza,
    Lasciato il peso dei pensieri,
    Nell’inerzia io posso annegare –
    Dimentico i canti delle muse,
    M’è più caro il mormorio del mare.
    Ma quando contro la riva l’onde
    Schiumose ruggiscono e fremono,
    E il tuono rimbomba nel cielo,
    E i lampi nel buio balenano,
    Allora i più ospitali querceti
    Io ai mari preferisco;
    La terra mi sembra più fedele,
    E il grave pescatore compatisco:
    Vive su una fragile imbarcazione,
    Trastullo della cieca corrente,
    Mentre io nel silenzio sicuro
    Ascolto il fruscio d’un torrente.
  • L’eternità
    (Arthur Rimbaud)
    È ritrovata.
    Che cosa? L’eternità.
    È il mare mischiato
    col sole.
    Anima sentinella,
    mormoriamo la confessione
    della notte così nulla
    e del giorno infuocato.
    Dagli umani suffragi,
    dagli slanci comuni
    là ti liberi
    e voli dove vuoi.
    Poiché soltanto da voi,
    o braci di raso,
    il dovere si esala
    senza che si dica: finalmente.
    Là, nessuna speranza,
    nessun orietur.
    Scienza con pazienza,
    il supplizio è sicuro.
    È ritrovata.
    Che cosa? L’eternità.
    È il mare mischiato
    col sole.
  • Al mare
    (Edmondo De Amicis)
    Salve, o gran mar! Come un eterno aprile
    Al canto sempre il riso tuo m’invita
    E mi fa ne la carne invigorita
    L’onda bollir del sangue giovanile.
    Salve, adorato mar! Sgomento al vile,
    Tripudio al valoroso, all’egro vita,
    Mistero immenso, gioventù infinita,
    Bellezza formidabile e gentile!
    T’amo allor che l’immane ira nei liti
    Frangi, dei lampi al funeral bagliore,
    Amo i tuoi flutti enormi e i tuoi ruggiti;
    Ma più assai de’ ruggiti il tuo sussurro
    Lento e solenne che addormenta il core,
    O sterminato cimitero azzurro.
  • Spuma di mare
    (Marina Ivanovna Cvetaeva)
    Chi è fatto di pietra, chi è fatto d’argilla –
    Io invece sono fatta d’argento e brillo!
    La mia occupazione – è il tradimento, il mio nome – Marina,
    io – sono l’effimera spuma del mare.
    Chi è fatto d’argilla, chi è fatto di carne –
    a costoro la bara e le lastre tombali …
    -battezzata nella fonte marina – e nel mio
    volo continuamente infranta!
    Attraverso ogni cuore, attraverso ogni rete
    batte il mio arbitrio.
    Io – vedi questi ricci scomposti? –
    non sono fatta del sale della terra.
    Mi frango sulle vostre granitiche ginocchia
    e da ogni onda – risuscito!
    Evviva la schiuma – l’allegra schiuma –
    l’alta schiuma del mare!
  • L’uomo e il mare
    (Charles Baudelaire)
    Uomo libero, amerai sempre il mare!
    Il mare è il tuo specchio: contempli la tua anima
    Nel volgersi infinito delle sue onde,
    E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
    Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
    L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
    Si distrae a volte dal suo battito
    Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
    Siete entrambi tenebrosi e discreti:
    Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
    O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
    Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
    E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
    Vi combattete senza pietà né rimorsi,
    Talmente amate la carneficina e la morte,
    O eterni rivali, o fratelli implacabili!
  • Come se il mare separandosi
    (Emily Dickinson)
    Come se il mare separandosi
    svelasse un altro mare,
    questo un altro, ed i tre
    solo il presagio fossero
    d’un infinito di mari
    non visitati da rive –
    il mare stesso al mare fosse riva-
    questo è l’eternità.
  • Arrivederci fratello mare
    (Nazim Hikmet)
    Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
    arrivederci fratello mare
    mi porto un po’ della tua ghiaia
    un po’ del tuo sale azzurro
    un po’ della tua infinità
    e un pochino della tua luce
    e della tua infelicità.
    Ci hai saputo dir molte cose
    sul tuo destino di mare
    eccoci con un po’ più di speranza
    eccoci con un po’ più di saggezza
    e ce ne andiamo come siamo venuti
    arrivederci fratello mare.
  • La nostra vita naviga su un mare
    (Rabindranath Tagore)
    La nostra vita naviga su un mare
    Mai attraversato, le cui onde,
    si inseguono l’un l’altra giocando
    a un eterno rimpiattino.
    È il mare agitato del mutamento,
    che pascola le sue schiumanti
    greggi, e mille volte le disperde,
    che batte incessante le sue mani
    contro la calma del cielo.
    Nel centro di questa volteggiante
    Danza di guerra di luce e di buio,
    amore, tua è quell’isola verde,
    dove il sole bacia la ritrosa
    ombra della selva ed il silenzio
    è corteggiato dal canto di uccelli.
  • Mare assoluto
    (Cecília Meireles)
    La solidità della terra, monotona,
    ci sembra debole illusione.
    Vogliamo la grande illusione del mare,
    moltiplicata nella sua sequela di pericoli.
    Il mare è solo il mare, sprovvisto di legami,
    si annulla e si ricompone,
    per diventare dopo la pura ombra di se stesso
    vinto da se medesimo. È il suo grande esercizio.
    Non vuole trascinarmi come i miei avi di un tempo,
    né condurmi pian piano,
    come i miei padri, dai sereni occhi scuri.
    Mi accetta solo convertita nella sua natura:
    plastica, fluida, disponibile,
    identica a lui, in costante soliloquio,
    senza esigenze di principio e fine,
    indipendente da terra e cielo.
  • Mare al mattino
    (Constantinos Kavafis)
    Che io mi fermi qui; per un’occhiata alla natura anch’io.
    Di un cielo sgombro e del mare al mattino
    il blu brillante con la gialla riva; tutto
    bello, e tutto in piena luce.
    Che io mi fermi qui. E m’illuda di aver visto
    (certo che ho visto, in quell’attimo di sosta);
    non vittima anche qui dei miei abbagli
    dei miei ricordi dei miei fantasmi di lussuria.
  • Le isole fortunate
    (Fernando Pessoa)
    Quale voce giunge sul suono delle onde
    che non è la voce del mare?
    È la voce di qualcuno che ci parla,
    ma che, se ascoltiamo, tace,
    perché si è ascoltato.
    E solo se, mezzo addormentati,
    senza sapere di udire, udiamo,
    essa ci dice la speranza
    cui, come un bambino
    dormiente, dormendo sorridiamo.
    Sono isole fortunate,
    sono terre che non hanno sito,
    ove il Re dimora aspettando.
    Ma, se ci andiamo svegliando,
    tace la voce, e c’è solo il mare.
  • Arrivederci fratello mare
    (Nazim Hikmet)
    Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
    arrivederci fratello mare
    mi porto un po’ della tua ghiaia
    un po’ del tuo sale azzurro
    un po’ della tua infinità
    e un pochino della tua luce
    e della tua infelicità.
    Ci hai saputo dir molte cose
    sul tuo destino mare
    eccoci con un po’ più di speranza
    eccoci con un po’ più di saggezza
    e ce ne andiamo come siamo venuti
    arrivederci fratello mare.
  • Nostalgia del mare
    (Juan Ramón Jiménez)
    Quanto dolore,
    bellezza!
    L’odio accende fuochi di passione
    sui fuochi lontani fari, grandi fiori rossi,
    delle coste del mare; grida all’erta
    di fiamma bianca e verde,
    sulle grida di fiamme
    dei sogni, che, come nei sogni,
    non si sa, in verità, se furono…
    E sono quelli ancor mal desti
    che brutta espressione, che freddo!
    contro quelli ancor mal addormentati
    che brivido, che espressione ancor più brutta!
    E la morte si unisce con la vita
    inaspettatamente, qua e là, come in bagliori
    di cento colori tragici ed acuti;
    si unisce con il sogno,
    che preferisce morire anziché svegliarsi.
    si unisce con il sogno.
    Comincia a far giorno rosso e bianco.
    Coste che fumano, nel primo sole,
    per quelli che vivono ancora!
  • Sempre vieni dal mare
    (Cesare Pavese)
    Sempre vieni dal mare
    e ne hai la voce roca,
    sempre hai occhi segreti
    d’acqua viva tra i rovi,
    e fronte bassa, come
    cielo basso di nubi.
    Ogni volta rivivi
    come una cosa antica
    e selvaggia, che il cuore
    già sapeva e si serra.
    Ogni volta è uno strappo,
    ogni volta è la morte.
    Noi sempre combattemmo.
    Chi si risolve all’urto
    ha gustato la morte
    e la porta nel sangue.
    Come buoni nemici
    che non s’odiano più
    noi abbiamo una stessa
    voce, una stessa pena
    e viviamo affrontati
    sotto povero cielo.
    Tra noi non insidie,
    non inutili cose –
    combatteremo sempre.
    Combatteremo ancora,
    combatteremo sempre,
    perché cerchiamo il sonno
    della morte affiancati,
    e abbiamo voce roca
    fronte bassa e selvaggia
    e un identico cielo.
    Fummo fatti per questo.
    Se tu od io cede all’urto,
    segue una notte lunga
    che non è pace o tregua
    e non è morte vera.
    Tu non sei più. Le braccia
    si dibattono invano.
    Fin che ci trema il cuore.
    Hanno detto un tuo nome.
    Ricomincia la morte.
    Cosa ignota e selvaggia
    sei rinata dal mare.
  • Il mare è tutto azzurro
    (Sandro Penna)
    Il mare è tutto azzurro.
    Il mare è tutto calmo.
    Nel cuore è quasi un urlo
    di gioia. E tutto è calmo.
  • Sul Mare
    (Edmondo De Amicis)
    Mugge e strepita il mar, danza il naviglio,
    E scricchia e geme, e par che grazia implori,
    E piatti e vetri a lunghi urti sonori
    Accompagnan la danza e lo scompiglio.
    Sul ponte qua e là cercano appiglio
    Le signore smarrite; i servitori
    Lesti accorrono ai súbiti languori
    E ognun cerca a tentoni il suo giaciglio:
    E incomincia a sonar da tutti i lati
    Un concerto di rantoli mortali
    E d’acri tossi e di catini urtati;
    Solo due genovesi al desco stretti
    Succhiano, discorrendo di cambiali,
    Una brava minaestra de’ spaghetti.
  • Miracoli
    (Walt Whitman)
    Perché la gente fa tanto caso ai miracoli?
    Per quanto mi riguarda io non conosco altro che miracoli,
    sia che passeggi per le vie di Manhattan,
    o levi il mio sguardo sopra i tetti, verso il cielo,
    o sguazzi coi piedi nudi lungo la spiaggia, proprio sul filo dell’acqua,
    o mi fermi sotto gli alberi, nei boschi,
    o parli, di giorno, con chi amo, o dorma, di notte, accanto a chi amo,
    o sieda a pranzare a un tavolo insieme ad altri,
    o getti uno sguardo agli estranei che viaggiano in tram di fronte a me,
    o spii le api che nei pomeriggi d’estate si affaccendano intorno all’alveare,
    o gli animali al pascolo nei campi,
    o gli uccelli, o gli straordinari insetti dell’aria,
    la meraviglia del tramonto, le stelle che brillano placide e luminose,
    o la delicata sottile curva della luna nuova in aprile;
    queste cose, e le altre, una e tutte, sono miracoli per me,
    a tutto si riferiscono anche se ognuna è distinta dalle altre,
    e al suo posto.
    È un miracolo per me ogni ora di luce e di buio,
    è un miracolo ogni centimetro cubo di spazio,
    ogni metro della superficie terrestre è impregnato di miracolo,
    formicola di miracoli ogni centimetro del sottosuolo.
    Il mare è per me un miracolo senza fine,
    i pesci che nuotano – gli scogli – il moto delle onde –
    le navi che portano gli uomini,
    quali i miracoli più strani di questi?
  • Sabbia e Spuma
    (Kahlil Gibran)
    Per sempre camminerò su questi lidi,
    Tra la sabbia e la spuma,
    L’alta marea cancellerà le mie orme,
    E il vento soffierà via la spuma.
    Ma il mare e la spiaggia rimarranno
    Per sempre.
  • L’onda
    (Gabriele D’Annunzio)
    Nella cala tranquilla
    scintilla,
    intesto di scaglia
    come l’antica
    lorica
    del catafratto,
    il Mare.
    Sembra trascolorare.
    S’argenta? s’oscura?
    A un tratto
    come colpo dismaglia
    l’arme, la forza
    del vento l’intacca.
    Non dura.
    Nasce l’onda fiacca,
    súbito s’ammorza.
    Il vento rinforza.
    Altra onda nasce,
    si perde,
    come agnello che pasce
    pel verde:
    un fiocco di spuma
    che balza!
    Ma il vento riviene,
    rincalza, ridonda.
    Altra onda s’alza,
    nel suo nascimento
    più lene
    che ventre virginale!
    Palpita, sale,
    si gonfia, s’incurva,
    s’alluma, propende.
    Il dorso ampio splende
    come cristallo;
    la cima leggiera
    s’aruffa
    come criniera
    nivea di cavallo.
    Il vento la scavezza.
    L’onda si spezza,
    precipita nel cavo
    del solco sonora;
    spumeggia, biancheggia,
    s’infiora, odora,
    travolge la cuora,
    trae l’alga e l’ulva;
    s’allunga,
    rotola, galoppa;
    intoppa
    in altra cui ‘l vento
    diè tempra diversa;
    l’avversa,
    l’assalta, la sormonta,
    vi si mesce, s’accresce.
    Di spruzzi, di sprazzi,
    di fiocchi, d’iridi
    ferve nella risacca;
    par che di crisopazzi
    scintilli
    e di berilli
    viridi a sacca.
    O sua favella!
    Sciacqua, sciaborda,
    scroscia, schiocca, schianta,
    romba, ride, canta,
    accorda, discorda,
    tutte accoglie e fonde
    le dissonanze acute
    nelle sue volute
    profonde,
    libera e bella,
    numerosa e folle,
    possente e molle,
    creatura viva
    che gode
    del suo mistero
    fugace.
    E per la riva l’ode
    la sua sorella scalza
    dal passo leggero
    e dalle gambe lisce,
    Aretusa rapace
    che rapisce le frutta
    ond’ha colmo suo grembo.
    Súbito le balza
    il cor, le raggia
    il viso d’oro.
    Lascia ella il lembo,
    s’inclina
    al richiamo canoro;
    e la selvaggia
    rapina,
    l’acerbo suo tesoro
    oblía nella melode.
    E anch’ella si gode
    come l’onda, l’asciutta
    fura, quasi che tutta
    la freschezza marina
    a nembo
    entro le giunga!
    Musa, cantai la lode
    della mia Strofe Lunga.
  • Saluto al mare
    (Arturo Graf)
    O mar profondo, o generosa, invitta
    Immensità! sempre, fidente e pia,
    Quand’è più stanca e di dolor trafitta.
    Sempre ritorna a te l’anima mia.
    O mare, a te, che negli oscuri e vasti
    Scoscendimenti ove il tuo gorgo dorme,
    I prischi germi e le perplesse forme
    Di quanto vive e dee morir creasti.
    Perchè nell’ombra travedendo il lume
    Forse del ver l’antica fantasia,
    Nata sognò la genitrice iddia,
    La sfavillante iddia dalle tue spume.
    A te, che tutta la terrestre mole
    Cingi e soggioghi, e nel volubil grembo
    Specchi l’azzurro sterminato e il nembo
    Vertiginoso e il fulvo occhio del sole.
    Dal grembo tuo, che mansueto vide
    E sofferse dell’uom la tracotanza,
    Un’arcana speranza, una speranza
    Imperitura al perituro arride.
    Ond’ei col vivo imaginar lontane
    Patrie vagheggia e sconosciute, dove
    Innovati destini e virtù nove,
    Più mite il cielo e men conteso il pane.
    Questa la speme che commise ai venti,
    E alla fortuna, di Giason la prua,
    Onde eterno il suo nome e della sua
    Ventura il grido fra le umane genti.
    Questa la speme che drizzò le vele
    E resse il cor del Ligure tenace,
    Quando il gran volo dietro al sol che giace
    Spiegò, sordo agli scherni e alle querele.
    O mare, o mar! sull’antico dirupo
    Io seggo e guardo dal tuo sen fremente
    Spuntar le nubi ora veloci or lente,
    Volar per l’aria e ricalar nel cupo.
    O mare, o mar! su’ tuoi flutti spumanti
    Veggo le navi sbieche e profilate
    Dileguar con le bianche ali spiegate
    A mo’ di grandi procellarie erranti.
    E trasognando penso all’errabondo
    Corso de’ fiumi che fan verde e vaga
    Senza frutto la terra, e d’ogni plaga
    Vengon tutti a finir nel tuo profondo.
    E penso a questa inesorabil sorte
    Che mutando non muta, e alle infinite
    Che furono e saran misere vite
    Sacre invano al dolor, sacre alla morte.
    E mi s’acqueta il cor doglioso, e tace
    De’ turbolenti miei pensieri il grido:
    Torno coi fati e con me stesso in pace
    E dello stolto mio dolor sorrido.

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