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Poesie sui Gatti: le 15 più belle e simpatiche

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Ultimo aggiornamento: 13 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sui Gatti

I gatti sono dei simpatici e dolci animali da compagnia che vivono al nostro fianco da millenni, ma nonostante questo han conservato un lato selvatico, indipendente e indomabile.

Queste caratteristiche li hanno resi molto amati e parte della nostra vita quotidiana, al punto che molti poeti ne hanno raccontato le più curiose particolarità.

Ecco quindi le più belle poesie sui gatti che ne mettono in mostra alla perfezione il fascino e la simpatia. Scoprile subito!

Poesie sui gatti

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  • Il gatto
    (Charles Baudelaire)
    Vieni bel gatto, vieni sul mio cuore amoroso;
    trattieni i tuoi artigli
    ch’io mi sprofondi dentro i tuoi begli occhi d’agata e metallo.
    Quando a bell’agio le mie dita a lungo
    ti carezzan la testa e il dorso elastico,
    e gode la mia mano ebbra al toccare il tuo corpo elettrico,
    vedo in spirito la mia donna:
    profondo e freddo come il tuo, il suo sguardo, bestia amabile,
    penetra tagliente come fosse una freccia,
    e dai piedi alla testa
    una sottile aria, rischioso effluvio,
    tutt’intorno gira al suo corpo bruno.
  • Il gatto
    (Guillaume Apollinaire)
    Io mi auguro di avere in casa mia:
    una donna provvista di prudenza,
    un gatto a passeggio fra i libri,
    e in tutte le stagioni amici
    di cui non posso far senza.
  • Er gatto, er cane
    (Trilussa)
    Un gatto soriano diceva a un barbone:
    – Nun porto rispetto nemmanco ar padrone,
    perché a l’occasione je graffio la mano;
    Ma tu che lo lecchi te becchi le botte:
    te mena, te sfotte, te mette in catena
    cor muso rinchiuso e un cerchio col bollo
    sull’osso del collo.
    Seconno la moda te taja li ricci
    te spunta la coda… che belli capricci!
    Io guarda… so’ un gatto, so’ un ladro, lo dico:
    ma a me nun s’azzarda de famme ste cose… –
    Er cane rispose:
    – Ma io je so’ amico! –
  • Beppo
    (Jorge Luis Borges)
    Il gatto bianco e celibe si guarda
    Nella lucida lastra dello specchio
    E sapere non può che quel candore
    E le pupille d’oro non vedute
    Mai nella casa sono la sua immagine.
    Chi gli dirà che l’altro che l’osserva
    E’ solamente un sogno dello specchio?
    Penso che questi armoniosi gatti
    Quello di vetro e quello a sangue caldo
    Sono fantasmi che regala al tempo
    Un archetipo eterno…
  • I gatti lo sapranno
    (Cesare Pavese)
    Ancora cadrà la pioggia
    sui tuoi dolci selciati,
    una pioggia leggera
    come un alito o un passo.
    Ancora la brezza e l’alba
    fioriranno leggere
    come sotto il tuo passo,
    quando tu rientrerai.
    Tra fiori e davanzali
    i gatti lo sapranno.
    Ci saranno altri giorni,
    ci saranno altre voci.
    Sorriderai da sola.
    I gatti lo sapranno.
    Udrai parole antiche,
    parole stanche e vane
    come i costumi smessi
    delle feste di ieri.
    Farai gesti anche tu.
    Risponderai parole –
    viso di primavera,
    farai gesti anche tu.
    I gatti lo sapranno,
    viso di primavera;
    e la pioggia leggera,
    l’alba color giacinto,
    che dilaniano il cuore
    di chi più ti spera,
    sono il triste sorriso
    che sorridi da sola.
    Ci saranno altri giorni,
    altre voci e risvegli.
    Soffriremo nell’alba,
    viso di primavera.
  • Donne e gatti
    (Paul Verlaine)
    Lei giocava con la sua gatta
    E che meraviglia era vedere
    La bianca mano e la bianca zampa
    Trastullarsi nell’ombra della sera!
    Lei nascondeva – la scellerata –
    Sotto i guanti di filo nero
    Le micidiali unghie d’agata
    Taglienti e chiare come un rasoio.
    Anche l’altra faceva la smorfiosa
    E ritraeva i suoi artigli d’acciaio,
    Ma il diavolo non ci perdeva nulla
    E nel boudoir, in cui tintinnava, aereo,
    Il suo riso, scintillavano quattro punti fosforescenti.
  • La gatta
    (Umberto Saba)
    La tua gattina è diventata magra.
    Altro male non è il suo che d’amore:
    male che alle tue cure la consacra.
    Non provi un’accorata tenerezza?
    Non la senti vibrare come un cuore
    sotto alla tua carezza?
    Ai miei occhi è perfetta
    come te questa tua selvaggia gatta,
    ma come te ragazza
    e innamorata, che sempre cercavi,
    che senza pace qua e là t’aggiravi,
    che tutti dicevano :”È pazza”.
    È come te ragazza.
  • Il giornale dei gatti
    (Gianni Rodari)
    I gatti hanno un giornale
    con tutte le novità
    e sull’ultima pagina
    la “Piccola Pubblicità”.
    “Cercasi casa comoda
    con poltrone fuori moda:
    non si accettano bambini
    perché tirano la coda”.
    “Cerco vecchia signora
    a scopo compagnia.
    Precisare referenze
    e conto in macelleria”.
    “Premiato cacciatore
    cerca impiego in granaio”.
    “Vegetariano, scapolo,
    cerca ricco lattaio”.
    I gatti senza casa
    la domenica dopo pranzo
    leggono questi avvisi
    più belli di un romanzo:
    per un’oretta o due
    sognano ad occhi aperti,
    poi vanno a prepararsi
    per i loro concerti.
  • Gatto che giochi per via
    (Fernando Pessoa)
    Gatto che giochi per via
    come se fosse il tuo letto,
    invidio la sorte che è tua,
    ché neppur sorte si chiama.
    Buon servo di leggi fatali
    che reggono i sassi e le genti,
    hai istinti generali,
    senti solo quel che senti;
    sei felice perché sei come sei,
    il tuo nulla è tutto tuo.
    Io mi vedo e non mi ho,
    mi conosco, e non sono io.
  • Al gatto di donna Reynolds
    (John Keats)
    Gatto, che la tua età matura hai superato,
    quanti sorcetti e ratti hai sterminato nei tuoi bei giorni?
    E quanti, con guardo fisso di accesi e verdi anelli
    pungenti e morbidi, ed unghie che germoglian dal velluto,
    celati artigli che ti pregano me di non ferire,
    n’hai carpiti, bocconcini d’uccello?
    Ora, rinforza il miagolar grazioso, e narra
    le tue zuffe con pesci, sorci e teneri pulcini, di cui,
    dalle tue fusa, dal guardar basso e leccarti le zampe,
    oggi non vedo traccia; e per quanto la serva
    a pugna e mazza assai ti percotè, lucida è la pelliccia
    come quando, in giovinezza, nella lizza tu entrasti,
    sopra un muro di vetri di bottiglia.
  • Er compagno scompagno
    (Trilussa)
    Un Gatto, che faceva er socialista
    solo a lo scopo d’arivà in un posto,
    se stava lavoranno un pollo arosto
    ne la cucina d’un capitalista.
    Quanno da un finestrino su per aria
    s’affacciò un antro Gatto: – Amico mio,
    pensa – je disse – che ce sò pur’io
    ch’appartengo a la classe proletaria!
    Io che conosco bene l’idee tue
    sò certo che quer pollo che te magni,
    se vengo giù, sarà diviso in due:
    mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni!
    – No, no: – rispose er Gatto senza core
    io nun divido gnente cò nessuno:
    fo er socialista quanno sto a diggiuno,
    ma quanno magno sò conservatore!
  • Il gatto e la luna
    (Sergio Corazzini)
    Luna nel cielo, lume su la porta.
    Questa notte morirono le stelle,
    le nuvole hanno fatto da barelle,
    lampeggiarono i ceri della scorta.
    Vagò, di cimitero in cimitero,
    solo, con le pupille avide, rosse,
    ardenti per continuo tormento,
    il gatto enorme, il gatto enorme e nero,
    come se in lui la notte atra si fosse,
    materiata per incantamento.
    Or va, torna col vento, ma se il vento
    spegne il lume ad un tratto, nella via
    rimangono due stelle in cui la pia
    luna in sua dolce meraviglia è assorta.
  • Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato
    (Charles Baudelaire)
    Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
    ritira le unghie nelle zampe,
    lasciami sprofondare nei tuoi occhi
    in cui l’agata si mescola al metallo.
    Quando le mie dita carezzano a piacere
    la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
    s’inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
    vedo in ispirito la mia donna.
    Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo, amabile bestia,
    taglia e fende simile a un dardo, e dai piedi alla testa
    un’aria sottile, un temibile profumo
    ondeggiano intorno al suo corpo bruno.
  • Il nome dei gatti
    (T. S. Eliot)
    Dare un nome a un gatto è una faccenda particolare,
    Tutt’altro che uno sport da incompetenti;
    Penserete che io sia matto da legare
    Se vi dico che un gatto ha tre nomi differenti.
    Primo, il nome che la famiglia usa di solito,
    Come Pietro, Augusto, Gianni o Alonzo,
    Come Vittorio o Giona, Baffo o Ippolito:
    Tutti nomi comuni d’ogni giorno.
    Ci sono nomi più ricercati, con un suono più fine,
    Come Platone, Admeto, Elettra, Astolfo,
    Sia per i signori che per le signorine:
    Però tutti nomi comuni d’ogni giorno.
    Ma un gatto ha bisogno di un nome speciale,
    Un nome esclusivo, più meritorio,
    Altrimenti come potrà la coda inalberare
    O sollevare i baffi o compiacere il suo orgoglio?
    Di questo tipo di nomi ve ne cito qualcuno,
    Come Munkustrap, Quaxo o Caricopatto,
    Come Bombalorina, o Jelliloruno:
    Nomi che appartengono sempre a un solo gatto.
    Ma al di là di questi c’è un nome sottile,
    E si tratta del nome che non indovinerete mai;
    Il nome che nessuna indagine umana può scoprire:
    Ma il gatto stesso lo sa, e non rivelerà mai,
    Quando vedete un gatto in profonda meditazione,
    È sempre, sappiate, per la stessa ragione:
    La sua mente è rapita in estatica contemplazione
    Del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:
    Il suo ineffabile effabile
    Effineffabile
    Profondo e inscrutabile singolo nome.
  • I gatti
    (Charles Baudelaire)
    I fervidi innamorati e gli austeri dotti amano ugualmente,
    nella loro età matura, i gatti possenti e dolci,
    orgoglio della casa, come loro freddolosi e sedentari
    Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e
    l’orrore delle tenebre; l’Erebo li avrebbe presi per funebri
    corsieri se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza
    Prendono, meditando, i nobili atteggiamenti delle grandi
    sfingi allungate in fondo a solitudini, che sembrano
    addormirsi in un sogno senza fine:
    le loro reni feconde sono piene di magiche scintille e di
    frammenti aurei; come sabbia fine scintillano vagamente
    le loro pupille mistiche.
  • Il gattino
    (Edmond Rostand)
    È un gattino nero, sfrontato, oltre ogni dire,
    lo lascio spesso giocare sul mio tavolo.
    A volte vi si siede senza far rumore,
    quasi un vivente fermacarte.
    Gli occhi gialli e blu sono due agate.
    A volte li socchiude, tirando su col naso,
    si rovescia, si prende il muso tra le zampe,
    pare una tigre distesa su di un fianco.
    Ma eccolo ora – smessa l’indolenza –
    inarcarsi – somiglia proprio ad un manicotto;
    e allora, per incuriosirlo, gli faccio oscillare davanti,
    appeso a una cordicella, un mio turacciolo.
    Fugge al galoppo, tutto spaventato,
    poi ritorna, fissa il turacciolo, tiene un po’
    sospesa in aria – ripiegata – la zampetta,
    poi abbatte il turacciolo, l’afferra; lo morde.
    Allora, senza ch’egli la veda, tiro la cordicella,
    e il turacciolo si allontana, e il gatto lo segue,
    descrivendo dei cerchi con la zampa,
    poi salta di lato, ritorna, fugge di nuovo.
    Ma appena gli dico: “Devo lavorare,
    vieni, siediti qua, da bravo!” si siede.
    E mentre scribacchio sento
    che si lecca col suo lieve struscio molle.
  • Er micio nero
    (Gioachino Belli)
    Mentre guidavo, un gatto
    nero com’ar carbone
    m’attraversò d’un tratto
    la strada da ‘n cantone
    e, come ‘n disperato
    cantava la canzone
    der micio ‘nnamorato
    ch’insegue la su’ gatta
    per tutt’er vicinato.
    Frenai de corpo e lesto
    facenno li scongiuri
    cambiai de direzzione
    ond’evitar che presto
    disgrazzie a profusione
    me piovesser’addosso.
    Così sentii la botta
    striscianno contr’ai muri:
    la machina sfasciata
    m’aggiustò la giornata!
    Er gatto me guardava
    ridenn’a più non posso:
    – Ma che te ridi, gatto? –
    – Rido -, rispose schietto
    – Perché me par’un matto!
    Ma quanno sarti er fosso?
    Già stamo ner futuro
    e tu credi ch’un gatto
    pur se di pelo scuro
    te po’ portà sfortuna?
    Mejo sarebbe stato
    s’er gatto ‘nnamorato
    er canto suo alla luna
    avesse destinato,
    s’invece de vagà
    com’un cretino
    lungo ste strade qua
    der Prenestino
    fusse rimasto a miagolà
    s’un tetto affianc’a n’abbaino
    pe portasse la gatta
    drent’ar letto!
    E ‘nvec’er maledetto
    ha rotto li cojoni
    a ‘n poveretto
    (che ignaro der progresso,
    delle moderne azzioni,
    s’ostin’a fare er fesso)
    siconno er quale per retaggio antico
    er gatto nero mena gramo spesso
    e porta jella quanto nun ve dico!
  • Il gatto e la luna
    (William Butler Yeats)
    Il gatto andava qui e là
    E la luna girava come trottola,
    E il parente più stretto della luna,
    Il gatto strisciante, guardò in su.
    Il nero Minrialoushe fissava la luna,
    Perché, per quanto vagasse e gemesse,
    La luce fredda e limpida nel cielo
    Turbava il suo sangue animale.
    Minnaloushe corre fra l’erba
    Alzando le sue zampe delicate.
    Vuoi ballare, Minnaloushe, vuoi ballare?
    Quando s’incontrano due parenti stretti
    Che c’è di meglio che mettersi a ballare?
    Forse la luna imparerà,
    Stanca delle mode di corte,
    Un nuovo passo di danza.
    Minnaloushe striscia fra l’erba
    Di luogo in luogo illuminato dalla luna,
    La sacra luna sul suo capo
    È entrata in una nuova fase.
    Lo sa Minnaloushe che le sue pupille
    Passeranno di mutamento in mutamento,
    Che vanno dalla tonda alla lunata,
    Dalla lunata alla tonda?
    Minnaloushe striscia, fra l’erba
    Solo, importante e saggio,
    E leva alla luna mutevole
    I suoi occhi mutevoli.

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