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Poesie sull’Estate: le 25 più belle e originali

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Ultimo aggiornamento: 13 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sull'Estate

L’estate è la stagione simbolo delle vacanze e del divertimento, ma anche di quella fase centrale della vita in cui siamo all’apice delle nostre forze e capacità.

Un periodo solitamente felice e intenso, ma a volte anche travolgente e tormentato.

Qui di seguito le più belle poesie sull’estate che ne mettono in luce la spensieratezza, ma anche i tratti più nascosti. Eccole!

Poesie sull’estate

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  • Estate
    (Salvatore Quasimodo)
    Cicale, sorelle, nel sole
    con voi mi nascondo
    nel folto dei pioppi
    e aspetto le stelle.
  • Estate
    (Cesare Pavese)
    È riapparsa la donna dagli occhi socchiusi
    e dal corpo raccolto, camminando per strada.
    Ha guardato diritto tendendo la mano,
    nell’immobile strada. Ogni cosa è riemersa.
    Nell’ímmobile luce dei giorno lontano
    s’è spezzato il ricordo. La donna ha rialzato
    la sua semplice fronte, e lo sguardo d’allora
    è riapparso. La mano si è tesa alla mano
    e la stretta angosciosa era quella d’allora.
    Ogni cosa ha ripreso i colori e la vita
    allo sguardo raccolto, alla bocca socchiusa.
    È tornata l’angoscia dei giorni lontani
    quando tutta un’immobile estate improvvisa
    di colori e tepori emergeva, agli sguardi
    di quegli occhi sommessi. È tornata l’angoscia
    che nessuna dolcezza di labbra dischiuse
    può lenire. Un immobile cielo s’accoglie
    freddamente, in quegli occhi.
    Fra calmo il ricordo
    alla luce sommessa dei tempo, era un docile
    moribondo cui già la finestra s’annebbia e scompare.
    Si è spezzato il ricordo. La stretta angosciosa
    della mano leggera ha riacceso i colori
    e l’estate e i tepori sotto il viviclo cielo.
    Ma la bocca socchiusa e gli sguardi sommessi
    non dan vita che a un duro inumano silenzio.
  • Nelle azzurre sere d’estate
    (Arthur Rimbaud)
    Nelle azzurre sere d’estate, me ne andrò per i sentieri,
    graffiato dagli steli, sfiorando l’erba nuova:
    trasognato, ne sentirò la frescura sotto i piedi,
    e lascerò che il vento mi bagni la testa nuda.
    Non parlerò, non penserò a niente:
    Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
    E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro.
  • Il primo giorno d’estate
    (Antonio Barolini)
    Il camioncino dei gelati
    (la campanella allegra)
    passa tra gli alberati
    viali residenziali.
    I bambini,
    che giocano nel prato a perdifiato,
    smettono e gli vanno incontro:
    i nichelini in mano.
    I cani, risvegliati,
    abbaiano per chiasso
    e gli uccelli cinguettano tra rami.
    Si dondolano, frullano
    in alto e in basso.
    Una cicala urla
    nell’ora meridiana:
    è la prima di un’estate
    di tenere piogge,
    che pareva una burla.
    È scoppiata e si sente
    l’avvenuto momento
    da come il cielo vibra
    sull’erba radente.
    Ogni cosa, nella luce,
    ha la trasparenza dell’aria.
    C’è un paese al mondo,
    dove non sia questa festa?
  • Filastrocca vola e va
    (Gianni Rodari)
    Filastrocca vola e va
    dal bambino rimasto in città.
    Chi va al mare ha vita serena
    e fa i castelli con la rena,
    chi va ai monti fa le scalate
    e prende la doccia alle cascate…
    E chi quattrini non ne ha?
    Solo, solo resta in città:
    si sdrai al sole sul marciapide,
    se non c’è un vigile che lo vede,
    e i suoi battelli sottomarini
    fanno vela nei tombini.
    Quando divento Presidente
    faccio un decreto a tutta la gente;
    “Ordinanza numero uno:
    in città non resta nessuno;
    ordinanza che viene poi,
    tutti al mare, paghiamo noi,
    inoltre le Alpi e gli Appennini
    sono donati a tutti i bambini.
    Chi non rispetta il decretato
    va in prigione difilato”.
  • L’erba estiva
    (Matsuo Bashō)
    L’erba estiva!
    È tutto ciò che rimane
    del canto dei guerrieri
  • D’estate
    (Giovanni Pascoli)
    Le cavallette sole
    sorridono in mezzo
    alla gramigna gialla.
    I moscerini danzano al sole
    trema uno stelo
    sotto una farfalla.
  • Di Luglio
    (Giuseppe Ungaretti)
    Quando su ci si butta lei,
    Si fa d’un triste colore di rosa
    Il bel fogliame.
    Strugge forre, beve fiumi,
    Macina scogli, splende,
    È furia che s’ostina, è l’implacabile,
    Sparge spazio, acceca mete,
    È l’estate e nei secoli
    Con i suoi occhi calcinanti
    Va della terra spogliando lo scheletro.
  • Estiva
    (Vincenzo Cardarelli)
    Distesa estate,
    stagione dei densi climi
    dei grandi mattini
    dell’albe senza rumore
    ci si risveglia come in un acquario
    dei giorni identici, astrali,
    stagione la meno dolente
    d’oscuramento e di crisi,
    felicità degli spazi,
    nessuna promessa terrena
    può dare pace al mio cuore
    quanto la certezza di sole
    che dal tuo cielo trabocca,
    stagione estrema, che cadi
    prostrata in riposi enormi,
    dai oro ai più vasti sogni,
    stagione che porti luce
    a distendere il tempo
    di là dai confini del giorno,
    e sembri mettere a volte
    nell’ordine che procede
    qualche cadenza dell’indugio eterno.
  • Estate
    (Ada Negri)
    Nei mesi estivi il solleone
    rende i muri così abbaglianti
    che a fissarli vien sonno:
    tende gialle e rosse
    si abbassano sui negozi;
    il nastro di cielo
    che s’allunga fra due strisce
    parallele di tetti
    è una lamina di metallo rovente.
    Dolce è non far niente,
    accucciati sulle pietre roventi,
    respirando il caldo.
  • Conchiglia marina
    (Salvatore Quasimodo)
    O conchiglia marina, figlia
    della pietra e del mare biancheggiante,
    tu meravigli la mente dei fanciulli.
  • L’estate è finita
    (Emily Dickinson)
    Sono più miti le mattine
    e più scure diventano le noci
    e le bacche hanno un viso più rotondo.
    La rosa non è più nella città.
    L’acero indossa una sciarpa più gaia.
    La campagna una gonna scarlatta,
    Ed anch’io, per non essere antiquata,
    mi metterò un gioiello.
  • Fuga di giovinezza
    (Hermann Hesse)
    La stanca estate china il capo
    specchia nell’acqua il suo biondo volto.
    Erro stanco e impolverato
    nell’ombra dle viale.
    Tra i pioppi soffia una leggera
    brezza. Il cielo alle mie spalle è rosso
    di fronte l’ansia della sera
    – e il tramonto – e la morte.
    E vado stanco e impolverato
    e dietro a me resta esitante
    la giovinezza, china il capo
    e non vuole più seguire la strada con me.
  • La stella della sera
    (Edgar Allen Poe)
    L’estate era al suo meriggio,
    e la notte al suo colmo;
    e ogni stella, nella sua propria orbita,
    brillava pallida, pur nella luce
    della luna, che più lucente e più fredda,
    dominava tra gli schiavi pianeti,
    nei cieli signora assoluta –
    e, col suo raggio, sulle onde.
    Per un poco io fissai
    il suo freddo sorriso;
    oh, troppo freddo – troppo freddo per me!
    Passò, come un sudario,
    una nuvola lanugiosa,
    e io allora mi volsi a te
    orgogliosa stella della sera,
    alla tua remota fiamma,
    più caro avendo il tuo raggio;
    giacché più mi allieta
    l’orgogliosa parte
    che in cielo svolgi a notte,
    e di più io ammiro
    il tuo fuoco distante
    che non quella fredda, consueta luce.
  • Sogno d’Estate
    (Giosuè Carducci)
    Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
    la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ‘l sonno
    in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su ‘l Tirreno.
    Sognai, placide cose de’ miei novelli anni sognai.
    Non più libri: la stanza da ‘l sole di luglio affocata,
    rintronata da i carri rotolanti su ‘l ciottolato
    de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
    cari selvaggi colli che il giovane april rifioría.
    Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
    pur divenendo rio: su ‘l rio passeggiava mia madre
    florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
    cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d’oro.
    Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
    superbo de l’amore materno, percosso nel core
    da quella festa immensa che l’alma natura intonava.
    Però che le campane sonavano su da ‘l castello
    annunziando Cristo tornante dimane a’ suoi cieli;
    e su le cime e al piano, per l’aure, pe’ rami, per l’acque,
    correa la melodia spiritale di primavera;
    ed i peschi ed i meli tutti eran fior’ bianchi e vermigli,
    e fior’ gialli e turchini ridea tutta l’erba al di sotto,
    ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de’ prati,
    e molli d’auree ginestre si paravano i colli,
    e un’aura dolce movendo quei fiori e gli odori
    veniva giú dal mare; nel mar quattro candide vele
    andavano andavano cullandosi lente nel sole,
    che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
    La giovine madre guardava beata nel sole.
    Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
    questo che or giace lungi su ‘l poggio d’Arno fiorito,
    quella che dorme presso ne l’erma solenne Certosa;
    pensoso e dubitoso s’ancora ei spirassero l’aure
    o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
    ove tra note forme rivivono gli anni felici.
    Passar le care imagini, disparvero lievi co ‘l sonno.
    Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
    Bice china al telaio seguía cheta l’opra de l’ago.
  • X agosto
    (Giovanni Pascoli)
    San Lorenzo, io lo so perché tanto
    di stelle per l’aria tranquilla
    arde e cade, perché si gran pianto
    nel concavo cielo sfavilla.
    Ritornava una rondine al tetto:
    l’uccisero: cadde tra spini:
    ella aveva nel becco un insetto:
    la cena de’ suoi rondinini.
    Ora è là, come in croce, che tende
    quel verme a quel cielo lontano;
    e il suo nido è nell’ombra, che attende,
    che pigola sempre più piano.
    Anche un uomo tornava al suo nido:
    l’uccisero: disse: Perdono;
    e restò negli aperti occhi un grido:
    portava due bambole in dono…
    Ora là, nella casa romita,
    lo aspettano, aspettano in vano:
    egli immobile, attonito, addita
    le bambole al cielo lontano.
    E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
    sereni, infinito, immortale,
    oh!, d’un pianto di stelle lo innondi
    quest’atomo opaco del Male!
  • Saluto di stagione
    (Vincenzo Cardarelli)
    Benvenuta estate.
    Alla tua decisa maturità
    m’affido.
    Mi poserò ai tuoi soli,
    ricambierò alla terra
    in tanto sudore caldo
    delle mie adempiute nutrizioni
    i suoi veleni vitali.
    Lascio la primavera
    dietro di me
    come un amore insano
    d’adolescente.
    Lascio i languori e le ottusità,
    i sonni impossibili,
    le faticose inerzie animali,
    il tempo neutro e vuoto
    in cui l’uomo è stagione.
    Io che non spunto a febbraio coi mandorli,
    non mi compiaccio all’arido sapore
    di sasso che acuisce
    il gusto dolce dell’acqua dei rivi,
    alle gocciole chete
    di nuvola randagia
    che vanno in punta di piedi
    in compagnia dei pensieri,
    non colgo il biancospino;
    che amo i tempi fermi e le superfici chiare,
    e ad ogni transizione di meriggio,
    rotta l’astrale identità del mattino,
    avverto gli spazi irritarsi,
    e sento il limite e il male
    che incrinano ogni cambio d’ora,
    saluto nel sol d’estate
    la forza dei giorni più eguali.
    Ai punti estremi, alle stagioni violente,
    come sotto il frantoio dei pericoli
    dove ogni inquietudine si schianta
    prendo le sole decisioni buone,
    la mia fuggiasca fecondità
    ritrovo.

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