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Poesie di Gabriele D’Annunzio: le 10 più belle ed emozionanti

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Ultimo aggiornamento: 13 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie di Gabriele D'Annunzio

Gabriele D’Annunzio è stato il poeta più significativo della letteratura italiana per quanto riguarda l’inizio del XX secolo.

Nella sua vita assume il ruolo di “Vate” e diventa un punto di riferimento per la cultura di massa dell’epoca, influenzando il pensiero degli italiani per diversi anni.

Ecco la nostra selezione delle più belle poesie di Gabriele D’Annunzio che ne segnano al meglio il percorso artistico. Scoprile subito!

Poesie di Gabriele D’Annunzio

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  • La pioggia nel pineto
    Taci. Su le soglie
    del bosco non odo
    parole che dici
    umane; ma odo
    parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie
    lontane.
    Ascolta. Piove
    dalle nuvole sparse.
    Piove su le tamerici
    salmastre ed arse,
    piove sui pini
    scagliosi ed irti,
    piove su i mirti
    divini,
    su le ginestre fulgenti
    di fiori accolti,
    su i ginepri folti
    di coccole aulenti,
    piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l’anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    t’illuse, che oggi m’illude,
    o Ermione.
    Odi? La pioggia cade
    su la solitaria
    verdura
    con un crepitio che dura
    e varia nell’aria secondo le fronde
    più rade, men rade.
    Ascolta. Risponde
    al pianto il canto
    delle cicale
    che il pianto australe
    non impaura,
    né il ciel cinerino.
    E il pino
    ha un suono, e il mirto
    altro suono, e il ginepro
    altro ancora, stromenti
    diversi
    sotto innumerevoli dita.
    E immensi
    noi siam nello spirito
    silvestre,
    d’arborea vita viventi;
    e il tuo volto ebro
    è molle di pioggia
    come una foglia,
    e le tue chiome
    auliscono come
    le chiare ginestre,
    o creatura terrestre
    che hai nome
    Ermione.
    Ascolta, Ascolta. L’accordo
    delle aeree cicale
    a poco a poco
    più sordo
    si fa sotto il pianto
    che cresce;
    ma un canto vi si mesce
    più roco
    che di laggiù sale,
    dall’umida ombra remota.
    Più sordo e più fioco
    s’allenta, si spegne.
    Sola una nota
    ancor trema, si spegne,
    risorge, trema, si spegne.
    Non s’ode su tutta la fronda
    crosciare
    l’argentea pioggia
    che monda,
    il croscio che varia
    secondo la fronda
    più folta, men folta.
    Ascolta.
    La figlia dell’aria
    è muta: ma la figlia
    del limo lontana,
    la rana,
    canta nell’ombra più fonda,
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su le tue ciglia,
    Ermione.
    Piove su le tue ciglia nere
    sì che par tu pianga
    ma di piacere; non bianca
    ma quasi fatta virente,
    par da scorza tu esca.
    E tutta la vita è in noi fresca
    aulente,
    il cuor nel petto è come pesca
    intatta,
    tra le palpebre gli occhi
    son come polle tra l’erbe,
    i denti negli alveoli
    son come mandorle acerbe.
    E andiam di fratta in fratta,
    or congiunti or disciolti
    ( e il verde vigor rude
    ci allaccia i melleoli
    c’intrica i ginocchi)
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l’anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    m’illuse, che oggi t’illude,
    o Ermione.
  • Tutto fu ambito
    Tutto fu ambito
    e tutto fu tentato.
    Quel che non fu fatto
    io lo sognai;
    e tanto era l’ardore
    che il sogno eguagliò l’atto.
  • Stringiti a me
    Stringiti a me,
    abbandonati a me,
    sicura.
    Io non ti mancherò
    e tu non mi mancherai.
    Troveremo,
    troveremo la verità segreta
    su cui il nostro amore
    potrà riposare per sempre,
    immutabile.
    Non ti chiudere a me,
    non soffrire sola,
    non nascondermi il tuo tormento!
    Parlami,
    quando il cuore
    ti si gonfia di pena.
    Lasciami sperare
    che io potrei consolarti.
    Nulla sia taciuto fra noi
    e nulla sia celato.
    Oso ricordarti un patto
    che tu medesima hai posto.
    Parlami
    e ti risponderò
    sempre senza mentire.
    Lascia che io ti aiuti,
    poiché da te
    mi viene tanto bene!
  • Lungo l’Affrico nella sera di giugno dopo la pioggia
    Grazia del ciel, come soavemente
    ti miri ne la terra abbeverata,
    anima fatta bella dal suo pianto!
    O in mille e mille specchi sorridente
    grazia, che da la nuvola sei nata
    come la voluttà nasce dal pianto,
    musica nel mio canto
    ora t’effondi, che non è fugace,
    per me trasfigurata in alta pace
    a chi l’ascolti.
    Nascente Luna, in cielo esigua come
    il sopracciglio de la giovinetta
    e la midolla de la nova canna,
    sì che il più lieve ramo ti nasconde
    e l’occhio mio, se ti smarrisce, a pena
    ti ritrova, pe ‘l sogno che l’appanna,
    Luna, il rio che s’avvalla
    senza parola erboso anche ti vide;
    e per ogni fil d’erba ti sorride,
    solo a te sola.
    O nere e bianche rondini, tra notte
    e alba, tra vespro e notte, o bianche e nere
    ospiti lungo l’Affrico notturno!
    Volan elle sì basso che la molle
    erba sfioran coi petti, e dal piacere
    il loro volo sembra fatto azzurro.
    Sopra non ha sussurro
    l’arbore grande, se ben trema sempre.
    Non tesse il volo intorno a le mie tempie
    fresche ghirlande?
    E non promette ogni lor breve grido
    un ben che forse il cuore ignora e forse
    indovina se udendo ne trasale?
    S’attardan quasi immemori del nido,
    e sul margine dove son trascorse
    par si prolunghi il fremito dell’ale.
    Tutta la terra pare
    argilla offerta all’opera d’amore,
    un nunzio il grido, e il vespero che muore
    un’alba certa.
  • Rimani
    Rimani! Riposati accanto a me.
    Non te ne andare.
    Io ti veglierò. Io ti proteggerò.
    Ti pentirai di tutto fuorché d’essere venuto a me, liberamente, fieramente.
    Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
    non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
    Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia
    Rimani.
    Riposati. Non temere di nulla.
    Dormi stanotte sul mio cuore…
  • O falce di luna calante
    O falce di luna calante
    che brilli su l’acque deserte,
    o falce d’argento, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
    Aneliti brevi di foglie,
    sospiri di fiori dal bosco
    esalano al mare: non canto non grido
    non suono pe ‘l vasto silenzio va.
    Oppresso d’amor, di piacere,
    il popol de’ vivi s’addorme…
    O falce calante, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
  • Il vento scrive
    Su la docile sabbia il vento scrive
    con le penne dell’ala; e in sua favella
    parlano i segni per le bianche rive.
    Ma, quando il sol declina, d’ogni nota
    ombra lene si crea, d’ogni ondicella,
    quasi di ciglia su soave gota.
    E par che nell’immenso arido viso
    della pioggia s’immilli il tuo sorriso.
  • Nella belletta
    Nella belletta i giunchi hanno l’odore
    delle persiche mézze e delle rose
    passe, del miele guasto e della morte.
    Or tutta la palude è come un fiore
    lutulento che il sol d’agosto cuoce,
    con non so che dolcigna afa di morte.
    Ammutisce la rana, se m’appresso.
    Le bolle d’aria salgono in silenzio.
  • Pastori d’abruzzo
    Settembre. Andiamo è tempo di migrare.
    Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori
    lascian gli stazzi e vanno verso il mare,
    vanno verso l’Adriatico selvaggio
    che verde è come i pascoli dei monti.
    Han bevuto profondamente ai fonti alpestri
    ché sapor d’acqua natia
    rimanga nei cuori esuli a conforto,
    che lungo illuda la lor sete in via.
    Rinnovato hanno verga d’avellano.
    E vanno pel tratturo antico al piano
    quasi per un erbal fiume silente,
    su le vestigia degli antichi padri.
    Oh voce di colui che primamente
    conobbe il tremolar della marina!
    Ora lungh’esso il litoral
    cammina la greggia.
    Senza mutamento è l’aria
    e il sole imbionda sì la viva lana
    che quasi dalla sabbia non divaria.
    Isciacquìo, calpestìo, dolci rumori,
    ah perché non son io coi miei pastori?
  • Un ricordo
    Io non sapea qual fosse il mio malore
    né dove andassi. Era uno strano giorno.
    Oh, il giorno tanto pallido era in torno,
    pallido tanto che facea stupore.
    Non mi sovviene che di uno stupore
    immenso che quella pianura in torno
    mi facea, cosí pallida in quel giorno,
    e muta, e ignota come il mio malore.
    Non mi sovviene che d’un infinito
    silenzio, dove un palpitare solo,
    debole, oh tanto debole, si udiva.
    Poi, veramente, nulla piú si udiva.
    D’altro non mi sovviene. Eravi un solo
    essere, un solo; e il resto era infinito.
  • La sera fiesolana
    Fresche le mie parole ne la sera
    ti sien come il fruscìo che fan le foglie
    del gelso ne la man di chi le coglie
    silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
    su l’alta scala che s’annera
    contro il fusto che s’inargenta
    con le sue rame spoglie
    mentre la Luna è prossima a le soglie
    cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
    ove il nostro sogno giace
    e par che la campagna già si senta
    da lei sommersa nel notturno gelo
    e da lei beva la sperata pace
    senza vederla.
    Laudata sii pel tuo viso di perla,
    o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
    l’acqua del cielo!
    Dolci le mie parole ne la sera
    ti sien come la pioggia che bruiva
    tepida e fuggitiva,
    commiato lacrimoso de la primavera,
    su i gelsi e su gli olmi e su le viti
    e su i pini dai novelli rosei diti
    che giocano con l’aura che si perde,
    e su ‘l grano che non è biondo ancora
    e non è verde,
    e su ‘l fieno che già patì la falce
    e trascolora,
    e su gli olivi, su i fratelli olivi
    che fan di santità pallidi i clivi
    e sorridenti.
    Laudata sii per le tue vesti aulenti,
    o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
    il fien che odora!
    Io ti dirò verso quali reami
    d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
    eterne a l’ombra de gli antichi rami
    parlano nel mistero sacro dei monti;
    e ti dirò per qual segreto
    le colline su i limpidi orizzonti
    s’incùrvino come labbra che un divieto
    chiuda, e perché la volontà di dire
    le faccia belle
    oltre ogni uman desire
    e nel silenzio lor sempre novelle
    consolatrici, sì che pare
    che ogni sera l’anima le possa amare
    d’amor più forte.
    Laudata sii per la tua pura morte,
    o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
    le prime stelle!
  • Voglio un amore doloroso
    Voglio un amore doloroso, lento,
    che lento sia come una lenta morte,
    e senza fine (voglio che più forte
    sie della morte) e senza mutamento.
    Voglio che senza tregua in un tormento
    occulto sien le nostre anime assorte;
    e un mare sia presso a le nostre porte,
    solo, che pianga in un silenzio intento.
    Voglio che sia la torre alta granito,
    ed alta sia così che nel sereno
    sembri attingere il grande astro polare.
    Voglio un letto di porpora, e trovare
    in quell’ombra giacendo su quel seno,
    come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.
  • Canta la gioia
    Canta la gioia! Io voglio cingerti
    di tutti i fiori perché tu celebri
    la gioia la gioia la gioia,
    questa magnifica donatrice!
    Canta l’immensa gioia di vivere,
    d’esser forte, d’essere giovine,
    di mordere i frutti terrestri
    con saldi e bianchi denti voraci,
    di por le mani audaci e cupide
    su ogni dolce cosa tangibile,
    di tendere l’arco su ogni
    preda novella che il desìo miri,
    e di ascoltare tutte le musiche,
    e di guardare con occhi fiammei
    il volto divino del mondo
    come l’amante guarda l’amata,
    e di adorare ogni fuggevole
    forma, ogni segno vago, ogni immagine
    vanente, ogni grazia caduca,
    ogni apparenza ne l’ora breve.
    Canta la gioia! Lungi da l’anima
    nostro il dolore, veste cinerea.

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