Piero Calamandrei è stato un giurista e politico italiano, nominato membro della Consulta Nazionale nel 1945 e poi eletto all’Assemblea Costituente.
Di lui si ricordano alcune poesie e molte frasi celebri sulla giustizia, sulla la libertà e sulla resistenza alla dittatura fascista e all’occupazione nazista.
Qui di seguito la nostra selezione delle più belle frasi di Piero Calamandrei che sono passate alla storia. Eccole!
Aforismi, citazioni e frasi di Piero Calamandrei
- Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero – perché lì è nata la nostra costituzione.
- La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.
- Per trovar la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede.
- Fra le tante distruzioni di cui il passaggio della pestilenza fascista è responsabile, si dovrà annoverare anche quella, non riparabile in pochi anni, del senso della legalità. […] Per vent’anni il fascismo ha educato i cittadini proprio a disprezzare le leggi, a far di tutto per frodarle e per irriderle nell’ombra.
- Chiamare i deputati e i senatori i “rappresentanti del popolo” non vuol più dire oggi quello che con questa frase si voleva dire in altri tempi: si dovrebbero piuttosto chiamare impiegati del loro partito.
- In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli.
- Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini.
- Ognuno di noi può portare un contributo alla salvezza del mondo; oppure, essere complice di una ricaduta, che questa volta sarà mortale.
- Ogni popolo, si potrebbe dire, ha la magistratura che si merita.
- La libertà è condizione ineliminabile della legalità; dove non vi è libertà non può esservi legalità.
- È stato detto che la vera Costituzione è la maggioranza: se la maggioranza non vuol rispettare la Costituzione, vuol dire che la Costituzione non c’è più. Ma proprio per non sentir ripetere questo discorso, che era di moda sotto il fascismo, la Costituzione aveva predisposto al disopra della maggioranza organi indipendenti di garanzia costituzionale, destinati a proteggere la Costituzione contro la stessa maggioranza.
- Giustizia e libertà: per questo morirono, per questo vivono.
(Epitaffio scritto sulla tomba dei fratelli Rosselli) - “La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?”. Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: “Ma siamo in pericolo?” E questo dice: “Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda”. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda”. Quello dice: “Che me ne importa? Non è mica mio!”. Questo è l’indifferentismo alla politica.
- Chi prepara la guerra, anche a fini che crede difensivi, non fa altro, senza accorgersene, che volere la guerra.
- In queste celebrazioni che noi facciamo della Resistenza, di fatti e di figure di quel tempo, noi ci illudiamo di essere qui, vivi, che celebriamo i morti. E non ci accorgiamo che sono loro, i morti, che ci convocano qui, come dinanzi a un tribunale invisibile, a render conto di quello che in questi anni possiamo aver fatto per non essere indegni di loro, noi vivi.
- Talvolta il perdono è una forma superiore di disprezzo.
- La capacità a delinquere, per me avvocato civilista, ha due aspetti: uno giuridico e uno sociale. Sotto l’aspetto giuridico mi pare che essa sia la tendenza e la attitudine a violare il diritto altrui; sotto l’aspetto sociale mi pare sia la incapacità di intendere che la vita in società è fatta di solidarietà e di altruismo: che senza solidarietà e senza altruismo non vi è civiltà. Il delinquente è essenzialmente un infelice esiliato nel suo sfrenato egoismo, un solitario incapace di vivere in società.
- Il compito degli uomini della Resistenza non è finito. Bisogna che essa sia ancora in piedi.
- La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.
- Il carattere che distingue la Resistenza da tutte le altre guerre, anche da quelle fatte da volontari, anche dall’epoca garibaldina, è stato quello di essere più che un movimento militare, un movimento civile.
- Il fascismo non era un flagello piombato dal cielo sulla moltitudine innocente, ma una tabe spirituale lungamente maturata nell’interno di tutta una società, diventata incapace, come un organismo esausto che non riesce più a reagire contro la virulenza dell’infezione, di indignarsi e di insorgere contro la bestiale follia dei pochi.
- Non sempre sentenza ben motivata vuol dire sentenza giusta; né viceversa.
- Dietro ogni articolo della costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.
- La Liberazione fu veramente come la crisi acuta di un morbo che finalmente si spezzava dentro il nostro petto, come lo strappo risoluto con cui il popolo italiano riuscì con le sue stesse mani a svellere dal suo cuore un groviglio di serpi che per venti anni lo aveva soffocato.
- Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra.
- Il senso della giustizia, per il quale, appresi i fatti, si sente subito da che parte è la ragione, è una virtù innata, che non ha niente a che vedere colla tecnica del diritto: come nella musica, in cui la più grande intelligenza non serve a supplire alla mancanza di orecchio.
- Il pericolo nuovo che incombe sulla giustizia è la politicizzazione dei giudici… Il magistrato che scambia il suo seggio con un palco da comizio cessa di essere magistrato.
- Sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
- Il rinvio, simbolo della vita italiana: non fare mai oggi quello che potresti fare domani. Tutti i difetti e forse tutte le virtù del costume italiano si riassumono nella istituzione del rinvio: ripensarci, non compromettersi, rimandare la scelta; tenere il piede in due staffe, il doppio giuoco, il tempo rimedia a tutto, tira a campa’.
- Chi dice che la maggioranza ha sempre ragione, dice una frase di cattivo augurio, che solleva intorno lugubri risonanze; il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza.
- La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere.
- “La legge è uguale per tutti” è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria.
- Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici.
- Una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica.
- Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola, a lungo andare, è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte Costituzionale.
- Che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto.
- Il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore.
- Le diversità di opinioni politiche sono essenziali in ogni convivenza democratica; ma alla base ci deve essere un sentimento di fede nell’uomo, di rispetto alla dignità dell’uomo, che è poi una grande idea cristiana.
- La Resistenza aveva lasciato al mondo una speranza: più che una speranza, un impegno. Chi l’ha tradito? Perché l’abbiamo tradito?
Se si vuole intendere che cosa fu la Resistenza, non si deve dar questo nome soltanto al periodo finale che va dall’8 settembre al 25 aprile. Questo fu il parossismo finale della lotta; ma l’inizio di essa risaliva a venticinque anni prima. Essa era cominciata fin da quando era cominciata l’oppressione, cioè fin da quando lo squadrismo ;fascista aveva iniziato per le vie d’Italia la caccia dell’uomo. - Io mi domando, onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea Costituente: se la sentiranno alta e solenne come noi sentiamo oggi alta e solenne la Costituente Romana, dove un secolo fa sedeva e parlava Giuseppe Mazzini. Io credo di sì: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia: e si immagineranno, come sempre avviene che con l’andar dei secoli la storia si trasfiguri nella leggenda, che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani, fino al sacrificio di Anna-Maria Enriquez e di Tina Lorenzoni, nelle quali l’eroismo è giunto alla soglia della santità. Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli.
- I ragazzi delle scuole imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i fratelli Cervi. Non sanno chi fu quel giovanetto della Lunigiana che, crocifisso ad una pianta perché non voleva rivelare i nomi dei compagni, rispose: “Li conoscerete quando verranno a vendicarmi”, e altro non disse. Non sanno chi fu quel vecchio contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di giovani partigiani trovati nascosti in un fienile, lasciò la sua vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: “Sono io che li ho nascosti (e non era vero), fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi”. Non sanno come si chiama colui che, imprigionato, temendo di non resistere alle torture, si tagliò con una lametta da rasoio le corde vocali per non parlare. E non parlò. Non sanno come si chiama quell’adolescente che, condannato alla fucilazione, si rivolse all’improvviso verso uno dei soldati tedeschi che stavano per fucilarlo, lo baciò sorridente dicendogli: “Muoio anche per te… viva la Germania libera!”. Tutto questo i ragazzi non lo sanno: o forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazione del fascismo ed oltraggi alla Resistenza.
- La madre
Quando la sera tornavano dai campi
Sette figli ed otto col padre
Il suo sorriso attendeva sull’uscio
per annunciare che il desco era pronto.
Ma quando in un unico sparo
caddero in sette dinanzi a quel muro
la madre disse
non vi rimprovero o figli
d’avermi dato tanto dolore
l’avete fatto per un’idea
perché mai più nel mondo altre madri
debban soffrire la stessa mia pena.
Ma che ci faccio qui sulla soglia
se più la sera non tornerete.
Il padre è forte e rincuora i nipoti
Dopo un raccolto ne viene un altro
ma io sono soltanto una mamma
o figli cari
vengo con voi. - Epigrafe di Piero Calamandrei per il “camerata Kesselring”
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.