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Poesie sui Cani: le 10 più belle e affettuose

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Ultimo aggiornamento: 13 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sui Cani

I cani sono degli esseri capaci di amarci incondizionatamente e di stare sempre al nostro fianco con tutta la loro infinita generosità.

Sono angeli senza ali, eppure alcune persone miserevoli hanno il coraggio di maltrattarli e abbandonarli. Per fortuna molti altri li amano come meritano, dedicandogli persino affettuose poesie.

Ecco quindi le più belle poesie sui cani che ce ne mostrano le caratteristiche più dolci e simpatiche. Scoprile subito!

Poesie sui cani

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  • Questione di pelle
    (Trilussa)
    – Che cane buffo! E dove l’ hai trovato? –
    Er vecchio me rispose: – è brutto assai,
    ma nun me lascia mai: s’è affezzionato.
    L’unica compagnia che m’è rimasta,
    fra tanti amichi, è ‘sto lupetto nero:
    nun è de razza, è vero,
    ma m’è fedele e basta.
    Io nun faccio questioni de colore:
    l’azzioni bone e belle
    vengheno su dar core
    sotto qualunque pelle.
  • Epitaffio per un cane
    (George Gordon Byron)
    In questo luogo
    giacciono i resti di una creatura
    che possedette la bellezza
    ma non la vanità,
    la forza ma non l’arroganza,
    il coraggio ma non la ferocia.
    E tutte le virtù dell’uomo
    senza i suoi vizi.
    Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
    sulle ceneri di un uomo,
    è un omaggio affatto doveroso alla memoria di
    “Boatswain” , un cane che naque in Terranova
    nel maggio del 1803
    e morì a Newstead Abbey
    il 18 novembre 1808.
    Quando un fiero figlio dell’uomo
    al seno della terra fa ritorno,
    sconosciuto alla gloria, ma sorretto
    da nobili natali,
    lo scultore si prodiga a mostrare
    il simulacro vuoto del dolore,
    e urne istoriate ci rammentano
    l’uomo che giace lì sepolto;
    e quando ogni cosa si è compiuta
    sul sepolcro noi potremo leggere
    non chi fu quell’uomo,
    ma chi doveva essere.
    Ma il misero cane, l’amico più caro in vita,
    che per primo saluta
    e che difende ultimo,
    che lotta, respira,
    vive e fatica per lui solo,
    cade senza onori;
    e solo col silenzio
    è premiato il suo valore;
    e l’anima che fu sua su questa terra
    gli vien negata in cielo;
    mentre l’uomo, insetto vano,
    spera il perdono, e per sé solo
    pretende un paradiso intero.
    O uomo! flebile inquilino della terra per un’ora,
    abietto in servitù, corrotto dal potere,
    ti fugge con disgusto chi ti conosce bene,
    o vile massa di polvere animata!
    L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa,
    la parola inganno, il sorriso menzogna!
    Vile per natura, nobile sol di nome,
    ogni animale ti mette alla vergogna.
    O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro,
    passa e va’ : non è in onore
    di creatura degna del tuo pianto.
    Esso fu innalzato per segnare
    il luogo ove tutto quel che di un amico resta
    riposa in pace;
    un sol ne conobbi: e qui si giace.
  • Carezze al cane
    (Paolo Buzzi)
    Cane, bontà degli uomini perduta,
    o fedeltà di tanti falsi amici,
    il mio cuore ti pensa e ti saluta!
    Questa vita di tedï e malefici
    te la dirò dentr’un’orecchia, o cane,
    che i miei segreti ascolti e non li dici.
    Le pupille tue fonde e più che umane,
    san la mia dolce illusïon caduta.
    E la tua testa è calda come un pane…
  • Er gatto, er cane
    (Trilussa)
    Un gatto soriano diceva a un barbone:
    – Nun porto rispetto nemmanco ar padrone,
    perché a l’occasione je graffio la mano;
    Ma tu che lo lecchi te becchi le botte:
    te mena, te sfotte, te mette in catena
    cor muso rinchiuso e un cerchio col bollo
    sull’osso del collo.
    Seconno la moda te taja li ricci
    te spunta la coda… che belli capricci!
    Io guarda… so’ un gatto, so’ un ladro, lo dico:
    ma a me nun s’azzarda de famme ste cose… –
    Er cane rispose:
    – Ma io je so’ amico! –
  • A cuscienza
    (Totò)
    Tengo nu cane e caccia
    bello assaje,
    fedele sulo a me
    comm’ a tutt’ ‘e cani.
    Ma nu difetto ‘o tene mberità
    quann’ i auciello sparo,
    me guarda cunfuso
    e nun ‘o và piglià.
    Stu fatto è poco chiaro,
    “Ma sì o nun sì nu cane e caccia?
    ca ‘e sorde ca me cuoste
    putisse pure tenè nu poco e cuscienza!”.
    “Nu me fà ridere”
    rispunnette ‘o cane,
    ca pe nu momento
    chi sà comme parlaje.
    “Tu me parli e cuscienza,
    ma saje ‘o signifecato e sta parola?
    già nun ‘o può sapè! Tu l’aje perza
    quanno aje accattato stu ribbotto.”
  • Buongiorno, cani, ciao
    (Dino Buzzati)
    Buongiorno, cani, ciao
    cagnolini cagnolini cagnazzi
    misterioso dono della natura
    a noi carogne. Perché?
    Incantevoli compagni di viaggio
    che ci fissate negli occhi
    con esagerata.
    Belli come boschi come il vento
    girano su e giù per la casa
    come fiumi come rupi
    come nuvole innamorate.
    Belli quando ronfate
    fate bave spazzate immondizie.
    Egoisti, sporchi, noiosi
    rompiscatole, puzzolenti, ingordi,
    sudicioni, petulanti, tangheri,
    Dio vi benedica.
  • Il povero ane
    (Gianni Rodari)
    Se andrete a Firenze
    vedrete certamente
    quel povero ane
    di cui parla la gente.
    È un cane senza testa,
    povera bestia.
    Davvero non si sa
    ad abbaiare come fa.
    La testa, si dice,
    gliel’hanno mangiata…
    (La “c” per i fiorentini
    è pietanza prelibata).
    Ma lui non si lamenta,
    è un caro cucciolone,
    scodinzola e fa festa
    a tutte le persone.
    Come mangia? Signori,
    non stiamo ad indagare:
    ci sono tante maniere
    di tirare a campare.
    Vivere senza testa
    non è il peggior dei guai:
    tanta gente ce l’ha,
    ma non l’adopera mai!
  • Oh nella notte il cane
    (Sandro Penna)
    Oh nella notte il cane
    che abbaia di lontano.
    Di giorno è solo il cane
    che ti lecca la mano.
  • Il cane sordo
    (Antonia Pozzi)
    Sordo per il gran vento
    che nel castello vola e grida
    è divenuto il cane.
    Sopra gli spalti – in lago
    protesi – corre,
    senza sussulti:
    né il muschio sulle pietre
    a grande altezza lo insidia,
    né un tegolo rimosso.
    Tanto chiusa e intera
    è in lui la forza
    da che non ha nome
    più per nessuno
    e va per una sua
    segreta linea
    libero.
  • Il cane notturno
    (Giovanni Pascoli)
    Nell’alta notte sento tra i queruli
    trilli di grilli, sento tra il murmure
    piovoso del Serchio che in piena
    trascorre nell’ombra serena,
    là nell’oscura valle dov’errano
    sole, da niuno viste, le lucciole,
    sonare da fratte lontane
    velato il latrato d’un cane.
    Chi là, passando tardo per tacite
    strade, fra nere siepi di bussolo,
    con l’eco dei passi, in un’aia
    destava quel cane, che abbaia?
    Parte? ritorna? Lagrima? dubita?
    ha in cuor parole chiuse che batton
    col suono d’alterno oriuolo?
    ha un’ombra, ch’è sola con solo?
    Va! Va! gli dice la voce vigile
    sonando irosa di tra le tenebre.
    Traspare dagli alberi folti
    la casa, che sembra che ascolti…
    come tra il sonno, chiuse le palpebre
    sue grandi… L’uomo dorme, ed un memore
    suo braccio, sul letto di foglie,
    sta presso la florida moglie.
    E dorme nella zana di vetrici
    la bimba, e gli altri piccoli dormono.
    S’inseguono al buio con ali
    di mosche i loro aliti uguali.
    Uguali uguali, passano tornano
    con ronzìo lieve, dentro le tenebre
    cercandosi: e l’anime ancora,
    si cercano, sino all’aurora,
    per le ignorate lunghe viottole
    del sonno; e al fine si ricongiungono;
    e scoppia sul fare del giorno
    l’allegro vocìo del ritorno.
  • Ode al cane
    (Pablo Neruda)
    Il cane mi domanda
    e non rispondo.
    Salta, corre pei campi e mi domanda
    senza parlare
    e i suoi occhi
    sono due richieste umide, due fiamme
    liquide che interrogano
    e io non rispondo,
    non rispondo perché
    non so, non posso dir nulla.
    In campo aperto andiamo
    uomo e cane.
    Brillano le foglie come
    se qualcuno
    le avesse baciate
    a una a una,
    sorgono dal suolo
    tutte le arance
    a collocare
    piccoli planetari
    su alberi rotondi
    come la notte, e verdi,
    e noi, uomo e cane, andiamo
    a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
    nella campagna cilena,
    fra le limpide dita di settembre.
    Il cane si ferma,
    insegue le api,
    salta l’acqua trepida,
    ascolta lontanissimi
    latrati,
    orina sopra un sasso,
    e mi porta la punta del suo muso,
    a me, come un regalo.
    È la sua freschezza affettuosa,
    la comunicazione del suo affetto,
    e proprio lì mi chiese
    con i suoi due occhi,
    perché è giorno, perché verrà la notte,
    perché la primavera
    non portò nella sua canestra
    nulla
    per i cani randagi,
    tranne inutili fiori,
    fiori, fiori e fiori.
    E così m’interroga
    il cane
    e io non rispondo.
    Andiamo
    uomo e cane uniti
    dal mattino verde,
    dall’incitante solitudine
    vuota nella quale solo noi
    esistiamo,
    questa unità fra cane con rugiada
    e il poeta del bosco,
    perché non esiste l’uccello nascosto,
    né il fiore segreto,
    ma solo trilli e profumi
    per i due compagni:
    un mondo inumidito
    dalle distillazioni della notte,
    una galleria verde e poi
    un gran prato,
    una raffica di vento aranciato,
    il sussurro delle radici,
    la vita che procede,
    e l’antica amicizia,
    la felicità
    d’essere cane e d’essere uomo
    trasformata
    in un solo animale
    che cammina muovendo
    sei zampe
    e una coda
    con rugiada.
  • Dick
    (Totò)
    Tengo ‘nu cane ch’è fenomenale,
    se chiama “Dick”, ‘o voglio bene assaie.
    Si perdere l’avesse? Nun sia maie!
    Per me sarebbe un lutto nazionale.
    Ll ‘aggio crisciuto comm’a ‘nu guaglione,
    cu zucchero, biscotte e papparelle;
    ll’aggio tirato su cu ‘e mmullechelle
    e ll’aggio dato buona educazione.
    Gnorsì, mo è gruosso. È quase giuvinotto.
    Capisce tutto… Ile manca ‘a parola.
    è cane ‘e razza, tene bbona scola,
    è lupo alsaziano, è polizziotto.
    Chello ca mo ve conto è molto bello.
    In casa ha stabilito ‘a gerarchia.
    Vo’ bene ‘a mamma ch’è ‘a signora mia,
    e a figliemo isso ‘o tratta da fratello.
    ‘E me se penza ca lle songo ‘o pate:
    si ‘o guardo dinto a ll’uocchiemme capisce,
    appizza ‘e rrecchie, corre, m’ubbidisce,
    e pe’ fa’ ‘e pressa torna senza fiato.
  • Qui giacciono i miei cani
    (Gabriele D’Annunzio)
    Qui giacciono i miei cani
    Qui giacciono i miei cani
    gli inutili miei cani,
    stupidi ed impudichi,
    novi sempre et antichi,
    fedeli et infedeli
    all’Ozio lor signore,
    non a me uom da nulla.
    Rosicchiano sotterra
    nel buio senza fine
    rodon gli ossi i lor ossi,
    non cessano di rodere i lor ossi
    vuotati di medulla
    et io potrei farne
    la fistola di Pan
    come di sette canne
    i’ potrei senza cera e senza lino
    farne il flauto di Pan
    se Pan è il tutto e
    se la morte è il tutto.
    Ogni uomo nella culla
    succia e sbava il suo dito,
    ogni uomo seppellito
    è il cane del suo nulla.

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