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Poesie sulla Famiglia: le 10 più belle ed emozionanti

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Ultimo aggiornamento: 13 Novembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sulla Famiglia

La famiglia è l’ambiente principale dove cresciamo e diventiamo ciò che siamo. E, anche se in alcuni casi i rapporti parentali non sono facili, resta sempre uno degli elementi fondamentali e imprescindibili della nostra società.

A volte è un luogo dove rifugiarsi, altre un luogo da cui scappare. Quello della famiglia è di conseguenza un tema che fa spesso discutere e pensare.

Qui di seguito la nostra selezione delle più belle poesie sulla famiglia che ci aiuteranno a capirne gli aspetti più importanti ed essenziali. Eccole!

Poesie sulla famiglia

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  • Il nido
    (Giovanni Pascoli)
    Dal selvaggio rosaio scheletrito
    penzola un nido. Come, a primavera,
    ne prorompeva empiendo la riviera
    il cinguettìo del garrulo convito!
    Or v’è sola una piuma, che all’invito
    del vento esita, palpita leggiera;
    qual sogno antico in anima severa,
    fuggente sempre e non ancor fuggito:
    e già l’occhio dal cielo ora si toglie;
    dal cielo dove un ultimo concento
    salì raggiando e dileguò nell’aria;
    e si figge alla terra, in cui le foglie
    putride stanno, mentre a onde il vento
    piange nella campagna solitaria.
  • I tuoi figli
    (Kahlil Gibran)
    I tuoi figli non sono figli tuoi.
    Sono i figli e le figlie della vita stessa.
    Tu li metti al mondo ma non li crei.
    Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
    Puoi dar loro tutto il tuo amore,
    ma non le tue idee.
    Perché loro hanno le proprie idee.
    Tu puoi dare dimora al loro corpo,
    non alla loro anima.
    Perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire,
    dove a te non è dato di entrare,
    neppure col sogno.
    Puoi cercare di somigliare a loro
    ma non volere che essi somiglino a te.
    Perché la vita non ritorna indietro,
    e non si ferma a ieri.
    Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.
  • La politica
    (Trilussa)
    Ner modo de pensà c’è un gran divario:
    mi’ padre è democratico cristiano,
    e, siccome è impiegato ar Vaticano,
    tutte le sere recita er rosario;
    de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano
    è socialista rivoluzzionario;
    io invece so’ monarchico, ar contrario
    de Ludovico ch’è repubblicano.
    Prima de cena liticamo spesso
    pè via de ‘sti princìpi benedetti:
    chi vo’ qua, chi vo’ là… Pare un congresso!
    Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma
    ce dice che so’ cotti li spaghetti
    semo tutti d’accordo ner programma.
  • Maternità
    (Rabindranath Tagore)
    Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato?
    Domandò il bambino a sua madre.
    Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose:
    tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio,
    tu eri il Suo desiderio.
    Tu eri nelle bambole della mia infanzia,
    in tutte le mie speranze,
    in tutti i miei amori, nella mia vita,
    nella vita di mia madre,
    tu hai vissuto.
    Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa
    ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo,
    e mentre contemplo il tuo viso, l’onda del mistero mi sommerge
    perché tu che appartieni a tutti,
    tu mi sei stato donato.
    E per paura che tu fugga via
    ti tengo stretto nel mio cuore.
    Quale magia ha dunque affidato il tesoro
    del mondo nelle mie esili braccia?
  • Il fumo
    (Bertolt Brecht)
    La piccola casa sotto gli alberi sul lago.
    Dal tetto sale il fumo.
    Se mancasse
    Quanto sarebbero desolati
    La casa, gli alberi, il lago!
  • Genitori
    (Vincenzo Cardarelli)
    Io devo al grembo che m’ha partorito
    il temerario amore per la vita
    che m’ha tanto tradito.
    Poi che nacqui da un sangue
    ben fervido e gioviale.
    Io nacqui da una donna che cantava
    nel rimettere in ordine la casa
    e, madre più trionfante che amorosa,
    soleva in braccio portarmi con gloria.
    Ora, ebbi un padre severo
    come un santo orgoglioso.
    E furon questi i due forti avversari
    che m’hanno generato.
  • Padre, se anche tu non fossi il mio
    (Camillo Sbarbaro)
    Padre, se anche tu non fossi il mio
    Padre se anche fossi a me un estraneo,
    per te stesso egualmente t’amerei.
    Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
    Che la prima viola sull’opposto
    Muro scopristi dalla tua finestra
    E ce ne desti la novella allegro.
    Poi la scala di legno tolta in spalla
    Di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
    Noi piccoli stavamo alla finestra.
    E di quell’altra volta mi ricordo
    Che la sorella mia piccola ancora
    Per la casa inseguivi minacciando
    (la caparbia aveva fatto non so che).
    Ma raggiuntala che strillava forte
    Dalla paura ti mancava il cuore:
    ché avevi visto te inseguir la tua
    piccola figlia, e tutta spaventata
    tu vacillante l’attiravi al petto,
    e con carezze dentro le tue braccia
    l’avviluppavi come per difenderla
    da quel cattivo che eri il tu di prima.
    Padre, se anche tu non fossi il mio
    Padre, se anche fossi a me un estraneo,
    fra tutti quanti gli uomini già tanto
    pel tuo cuore fanciullo t’amerei.
  • La madre
    (Victor Hugo)
    La madre è un angelo che ci guarda
    che ci insegna ad amare!
    Ella riscalda le nostre dita, il nostro capo
    fra le sue ginocchia, la nostra anima
    nel suo cuore: ci dà il suo latte quando
    siamo piccini, il suo pane quando
    siamo grandi e la sua vita sempre.
  • Casa Romita
    (Luigi Pirandello)
    Casa romita in mezzo a la natia
    campagna, aerea qui, n su l’altopiano
    d’azzurre argille, al cui sommesso invia
    fervor di spume in mare africano,
    te sempre vedo, sempre, da lontano,
    se penso al punto in cui la vita mia
    s’aprì piccola al mondo immenso e vano:
    da qui-dico-da qui presi la via.
    Da questo sentieruolo tra gli olivi,
    di metastro, di salvie profumato,
    m’incamminai pe’l mondo, ignaro e franco.
    E tanto, ò fiorellini schivi.
    Tra l’erma siepe, tanto ho camminato.
    Per ricondurmi a voi, deluso e stanco.
  • La madre
    (Edmondo De Amicis)
    Vi è un nome soave in tutte le
    lingue, venerato fra tutte le genti.
    Il primo a che suona sul labbro
    del bambino con lo svegliarsi
    della coscienza, l’ultimo che mormora
    il giovinetto in faccia alla morte;
    un nome che l’uomo maturo e il vecchio
    invocano ancora, con tenerezza
    di fanciulli, nelle ore solenni della vita,
    anche molti anni dopo che non è più
    sulla terra chi lo portava; un nome
    che pare abbia in sé una virtù misteriosa
    di ricondurre al bene, di consolare e
    di proteggere. Un nome con cui si dice
    quanto c’è di più dolce, di più forte,
    di più sacro all’anima umana.
    La madre.

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