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Le 15 più belle Poesie sull’Alba

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Ultimo aggiornamento: 3 Dicembre 2024
Di: Luca Carlo Ettore Pepino
Poesie sull'Alba

Quando ci alziamo molto presto la mattina, o facciamo tardi la notte, abbiamo la possibilità di godere di uno degli spettacoli più maestosi del nostro pianeta: l’alba.

Ma il sorgere del sole è anche uno spunto interessante per riflettere sul significato della vita e sulla sua ciclicità. Lo sanno bene i poeti che le hanno dedicato alcuni dei loro versi migliori.

Ecco quindi le più belle poesie sull’alba che ne sottolineano tutti gli aspetti più affascinanti e incantevoli. Scoprile subito!

Poesie sull’alba

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  • Non sapendo quando l’alba verrà
    (Emily Dickinson)
    Non sapendo quando l’alba verrà,
    Apro tutte le porte,
    Abbia essa piume, come un uccello,
    O frangenti, come una riva.
  • Lo spiraglio dell’alba
    (Cesare Pavese)
    Lo spiraglio dell’alba
    respira con la tua bocca
    in fondo alle vie vuote.
    Luce grigia i tuoi occhi,
    dolci gocce dell’alba
    sulle colline scure.
    Il tuo passo e il tuo fiato
    come il vento dell’alba
    sommergono le case.
    La città abbrividisce,
    odorano le pietre ‒
    sei la vita, il risveglio.
    Stella sperduta
    nella luce dell’alba,
    cigolio della brezza,
    tepore, respiro ‒
    è finita la notte.
    Sei la luce e il mattino.
  • Ti guardo e il sole cresce
    (Paul Éluard)
    Ti guardo e il sole cresce
    Presto ricoprirà la nostra giornata
    Svegliati cuore e colori in mente
    Per dissipare le pene della notte
    Ti guardo tutto è spoglio
    Fuori le barche hanno poca acqua
    Bisogna dire tutto con poche parole
    Il mare è freddo senza amore
    È l’inizio del mondo
    Le onde culleranno il cielo
    E tu vieni cullata dalle tue lenzuola
    Tiri il sonno verso di te
    Svegliati che io segua le tue tracce
    Ho un corpo per attenderti per seguirti
    Dalle porte dell’alba alle porte dell’ombra
    Un corpo per passare la mia vita ad amarti
    Un corpo per sognare al di fuori del tuo sonno.
  • Alba sul mare
    (Arrigo Boito)
    Cessato è il nembo; va volando intorno
    l’angiol del giorno – a spegnere le stelle
    e le fiammelle – che brillan sui fari
    dei marinari. – L’esule chiesetta
    dell’alta vetta – già si fa men bruna,
    e ancor la luna
    splende sull’ermo,
    bianca ed immota,
    come una nota
    di canto fermo.
  • Il sorgere del sole
    (John Donne)
    Vecchio stolto faccendiere, sole dissennato,
    perché così,
    attraverso vetri e tende vieni a visitarci?
    Le stagioni degli amanti devono volgere
    ai tuoi movimenti?
    Sfacciato dannatissimo pedante, va a strapazzare
    gli scolari in ritardo, i garzoni inveleniti,
    va a dire ai cacciatori: il Re vuole cavalcare,
    chiama le formiche dei campi alle fatiche del raccolto,
    immutabile l’amore non conosce climi e stagioni,
    non giorni, mesi, e ore, del tempo solo i brandelli.
    Perché pensi che i tuoi raggi
    siano tanto potenti e venerandi?
    Con un battito di ciglia potrei eclissarli,
    obnubilarli, se non che non vorrei
    non vedere lei tanto a lungo.
    Se i suoi occhi non hanno accecato i tuoi,
    guarda, e domani quando è tardi dimmi
    se le Indie delle spezie e delle miniere
    sono dove le lasciasti, o sono qui da me.
    Chiedi dei Re che hai visto ieri,
    ti sarà detto, che giacciono tutti qui in un letto.
    Lei è tutti gli stati, io sono tutti i principi,
    nient’altro esiste.
    A paragone i principi non recitano che la nostra parte,
    ogni onore è mimica, ogni ricchezza è alchimia.
    Tu sei felice, oh sole, molto meno di noi,
    in cui il mondo si è così contratto;
    la tua età richiede agi, il tuo compito
    è di scaldare il mondo – scaldaci, ed è fatto.
    Splendi su noi e sarai dovunque,
    questo letto è il tuo centro, queste pareti la tua sfera.
  • Bacia l’alba che geme soavemente
    (Gustavo Adolfo Bécquer)
    Bacia l’alba che geme soavemente
    le lievi onde che giocando alza;
    il sole bacia la nuvola del tramonto
    e di porpora e oro le colora;
    la fiamma che avvolge il tronco ardente
    per baciare un’altra fiamma si sposta
    e perfino il salice piangente che piegatosi per il suo peso
    sul fiume che lo bacia, ricambia il bacio.
  • Il rumore dell’alba
    (Sandro Penna)
    Come è forte il rumore dell’alba!
    Fatto di cose più che di persone.
    Lo precede talvolta un fischio breve,
    una voce che lieta sfida il giorno.
    Ma poi nella città tutto è sommerso.
    E la mia stella è quella stella scialba
    mia lenta morte senza disperazione.
  • Alba in città
    (Diego Valeri)
    Ai confini della città
    Quattro fanali dimenticati,
    tutti soli e trasognati,
    per la lunga strada vuota
    due di qua, due di là
    sotto un cielo color di mota.
    Su l’asfalto del pavimento
    lustro come una cerata,
    quattro sprazzi di verde argento.
    Dentro l’aria addormentata
    un lontano rotolamento
    di carrozzone che se ne va.
  • Sì, sì, così, l’aurora sul mare
    (Filippo Tommaso Marinetti)
    3 ombre corrosive contro
    l’ALBA
    i venti via via lavorando impastando il mare cosi muscoli e
    sangue per l’Aurora
    EST luce gialla sghimbescia
    Poi
    un verde diaccio
    slittante
    POI
    lO NORD un rosso strafottente
    rumore duro vitreo
    Poi un grigio stupefatto
    Le nuvole rosee sono delizie lontane
    fanfare di carnrinio scoppi di scarlatto
    fievole no grigio tamtam di azzurro
    No Sì
    NO


    sì sì


    giallo reboante
    Meraviglia dei grigi
    Tutte le perle dicono SÌ
    Ragionamenti persuasivi verdazzurri delle rade adescanti
    Lastroni lisci violacei del mare tremano di entusiasmo
    Un raggio Rimbalza di roccia in roccia
    La meraviglia si mette a ridere nelle vene del mare
    Rischio di una nuvola blu a perpendicolo sul mio capo
    Tutti i prismatismi aguzzi delle onde impazziscono
    Calarnitazioni di rossi
    Una vela accesa
    scollina all’orizzonte che trema
    ROMBO D’ORO
    risucchio di tre ombre in quella rada mangiata dal sole
    bocca denti sanguigni bave lunghe d’oro che beve il mare
    e addenta rocce
    SÌ semplicemente

    elasticamente
    pacatamente
    COSÌ
    ancora
    ANCORA
    ANCORA
    MEGLIO COSÌ
  • La notte di primavera è finita
    (Matsuo Bashō)
    La notte di primavera è finita.
    Sui ciliegi
    sorge l’alba.
  • Alba festiva
    (Giovanni Pascoli)
    Che hanno le campane,
    che squillano vicine,
    che ronzano lontane?
    È un inno senza fine,
    or d’oro, ora d’argento,
    nell’ombre mattutine.
    Con un dondolìo lento
    implori, o voce d’oro,
    nel cielo sonnolento.
    Tra il cantico sonoro
    il tuo tintinno squilla
    voce argentina Adoro,
    adoro Dilla, dilla,
    la nota d’oro – L’onda
    pende dal ciel, tranquilla.
    Ma voce più profonda
    sotto l’amor rimbomba,
    par che al desìo risponda:
    la voce della tomba.
  • Poiché l’alba si accende
    (Paul Verlaine)
    Poiché l’alba si accende, ed ecco l’aurora,
    poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
    a ritornare a me che la chiamo e l’imploro,
    poiché questa felicità consente ad esser mia,
    facciamola finita coi pensieri funesti,
    basta con i cattivi sogni, ah! soprattutto
    basta con l’ironia e le labbra strette
    e parole in cui uno spirito senz’anima trionfava.
    E basta con quei pugni serrati e la collera
    per i malvagi e gli sciocchi che s’incontrano;
    basta con l’abominevole rancore! basta
    con l’oblìo ricercato in esecrate bevande!
    Perché io voglio, ora che un Essere di luce
    nella mia notte fonda ha portato il chiarore
    di un amore immortale che è anche il primo
    per la grazia, il sorriso e la bontà,
    io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
    da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
    camminare diritto, sia per sentieri di muschio
    sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;
    sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
    verso la meta a cui mi spingerà il destino,
    senza violenza, né rimorsi, né invidia:
    sarà questo il felice dovere in gaie lotte.
    E poiché, per cullare le lentezze della via,
    canterò arie ingenue, io mi dico
    che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
    e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
  • Pensieri di Deola
    (Cesare Pavese)
    Deola passa il mattino seduta al caffè
    e nessuno la guarda. A quest’ora in città corron tutti
    sotto il sole ancor fresco dell’alba. Non cerca nessuno
    neanche Deola, ma fuma pacata e respira il mattino.
    Fin che è stata in pensione, ha dovuto dormire a quest’ora
    per rifarsi le forze: la stuoia sul letto
    la sporcavano con le scarpacce soldati e operai,
    i clienti che fiaccan la schiena. Ma, sole, è diverso:
    si può fare un lavoro più fine, con poca fatica.
    Il signore di ieri, svegliandola presto,
    l’ha baciata e condotta (mi fermerei, cara,
    a Torino con te, se potessi) con sé alla stazione
    a augurargli buon viaggio.
    È intontita ma fresca stavolta,
    e le piace esser libera, Deola, e bere il suo latte
    e mangiare brioches. Stamattina è una mezza signora
    e, se guarda i passanti, fa solo per non annoiarsi.
    A quest’ora in pensione si dorme e c’è puzzo di chiuso
    – la padrona va a spasso – è da stupide stare lì dentro.
    Per girare la sera i locali, ci vuole presenza
    e in pensione, a trent’anni, quel po’ che ne resta, si è perso.
    Deola siede mostrando il profilo a uno specchio
    e si guarda nel fresco del vetro. Un po’ pallida in faccia:
    non è il fumo che stagni. Corruga le ciglia.
    Ci vorrebbe la voglia che aveva Marì, per durare
    in pensione (perché, cara donna, gli uomini
    vengon qui per cavarsi capricci che non glieli toglie
    né la moglie né l’innamorata) e Marì lavorava
    instancabile, piena di brio e godeva salute.
    I passanti davanti al caffè non distraggono Deola
    che lavora soltanto la sera, con lente conquiste
    nella musica del suo locale. Gettando le occhiate
    a un cliente o cercandogli il piede, le piaccion le orchestre
    che la fanno parere un’attrice alla scena d’amore
    con un giovane ricco. Le basta un cliente
    ogni sera e ha da vivere. (Forse il signore di ieri
    mi portava davvero con sé). Stare sola, se vuole,
    al mattino, e sedere al caffè. Non cercare nessuno.
  • Il tramonto della luna
    (Giacomo Leopardi)
    Quale in notte solinga,
    Sovra campagne inargentate ed acque,
    Là ‘ve zefiro aleggia,
    E mille vaghi aspetti
    E ingannevoli obbietti
    Fingon l’ombre lontane
    Infra l’onde tranquille
    E rami e siepi e collinette e ville;
    Giunta al confin del cielo,
    Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
    Nell’infinito seno
    Scende la luna; e si scolora il mondo;
    Spariscon l’ombre, ed una
    Oscurità la valle e il monte imbruna;
    Orba la notte resta,
    E cantando, con mesta melodia,
    L’estremo albor della fuggente luce,
    Che dianzi gli fu duce,
    Saluta il carrettier dalla sua via;
    Tal si dilegua, e tale
    Lascia l’età mortale
    La giovinezza. In fuga
    Van l’ombre e le sembianze
    Dei dilettosi inganni; e vengon meno
    Le lontane speranze,
    Ove s’appoggia la mortal natura.
    Abbandonata, oscura
    Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
    Cerca il confuso viatore invano
    Del cammin lungo che avanzar si sente
    Meta o ragione; e vede
    Che a se l’umana sede,
    Esso a lei veramente è fatto estrano.
    Troppo felice e lieta
    Nostra misera sorte
    Parve lassù, se il giovanile stato,
    Dove ogni ben di mille pene è frutto,
    Durasse tutto della vita il corso.
    Troppo mite decreto
    Quel che sentenzia ogni animale a morte,
    S’anco mezza la via
    Lor non si desse in pria
    Della terribil morte assai più dura.
    D’intelletti immortali
    Degno trovato, estremo
    Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
    La vecchiezza, ove fosse
    Incolume il desio, la speme estinta,
    Secche le fonti del piacer, le pene
    Maggiori sempre, e non più dato il bene.
    Voi, collinette e piagge,
    Caduto lo splendor che all’occidente
    Inargentava della notte il velo,
    Orfane ancor gran tempo
    Non resterete; che dall’altra parte
    Tosto vedrete il cielo
    Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
    Alla qual poscia seguitando il sole,
    E folgorando intorno
    Con sue fiamme possenti,
    Di lucidi torrenti
    Inonderà con voi gli eterei campi.
    Ma la vita mortal, poi che la bella
    Giovinezza sparì, non si colora
    D’altra luce giammai, né d’altra aurora.
    Vedova è insino al fine; ed alla notte
    Che l’altre etadi oscura,
    Segno poser gli Dei la sepoltura.
  • Il gelsomino notturno
    (Giovanni Pascoli)
    E s’aprono i fiori notturni,
    nell’ora che penso ai miei cari.
    Sono apparse in mezzo ai viburni
    le farfalle crepuscolari.
    Da un pezzo si tacquero i gridi:
    là sola una casa bisbiglia.
    Sotto l’ali dormono i nidi,
    come gli occhi sotto le ciglia.
    Dai calici aperti si esala
    l’odore di fragole rosse.
    Splende un lume là nella sala.
    Nasce l’erba sopra le fosse.
    Un’ape tardiva sussurra
    trovando già prese le celle.
    La Chioccetta per l’aia azzurra
    va col suo pigolio di stelle.
    Per tutta la notte s’esala
    l’odore che passa col vento.
    Passa il lume su per la scala;
    brilla al primo piano: s’è spento…
    È l’alba: si chiudono i petali
    un poco gualciti; si cova,
    dentro l’urna molle e segreta,
    non so che felicità nuova.

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